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Semplici pregiudizi da lettore

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Di Mirko Tondi

Leggere libri con ostinazione o abbandonare?

I lettori, quelli abituali, che riescono a mantenere una certa continuità, si possono fondamentalmente distinguere in due diverse categorie: quelli che portano a termine la lettura di un libro anche se non gli piace e quelli che invece la interrompono non appena se ne rendono conto. 
I primi lo fanno per un certo rigore nei confronti della lettura: considerano il libro da leggere un oggetto che va iniziato e finito, quasi fosse una casa da costruire. I secondi sono più egoisti, e non si preoccupano più di tanto del libro in questione ma considerano una perdita di tempo star lì a leggere qualcosa che proprio non ha incontrato il loro interesse, non vedendo l'ora di passare ad altro. 

Personalmente, appartengo alla prima categoria, avendo la concezione che si possa trovare qualcosa di buono anche in ciò che non piace. Spesso, come sarà senz'altro accaduto a molti, mi è capitato di farmi un'idea precisa di un libro (per sentito dire o per un puro preconcetto), per poi scoprire di essermi sbagliato. Nonostante questo, ho sempre finito il testo che avevo cominciato. Persino quando mi sono addentrato nella difficile, e talvolta noiosa (lo ammetto...), lettura di qualche saggio filosofico. 

Soltanto in un'occasione non ce l'ho fatta. Un'amica, qualche anno fa, mi passò un libro di Fabio Volo. Mi disse che era divertente e che dava una visione semplice e scanzonata dell'universo maschile, usò all'incirca queste parole. Io, con un po' di scetticismo, provai a leggere il libro. Dopo qualche giorno abbandonai ogni tentativo. Lì per lì incolpai uno stile narrativo che non mi aveva colpito per niente e una storia scialba, come se ne leggono tante altre. Pensandoci bene, capii il vero motivo. Il pregiudizio aveva giocato il suo ruolo. Non mi andava giù il fatto che qualcuno si potesse prima costruire un personaggio e poi venderlo alle masse sotto forma di best seller. Ma è così che funziona. Non so se Fabio Volo valga davvero come scrittore, ma so che nel corso degli anni ci sono stati i vari Totti (con le sue barzellette), i comici di Zelig (con aforismi e storielle che ricalcavano i personaggi portati in tv), i concorrenti del Grande Fratello, di Amici di Maria de Filippi e chi più ne ha più ne metta. Il meccanismo commerciale è lineare: prima la notorietà e poi il grande lancio pubblicitario per l'evento collegato (libro, film ecc.). 

Si tratta di un'ovvietà dire che se questi personaggi non fossero stati conosciuti non avrebbero neanche pubblicato un libro. O quantomeno non avrebbero avuto la stessa fortuna. Però, alla fine, ci sono noti scrittori che si servono del mezzo mediatico alla stessa maniera. È successo con una sequela di titoli, in questi anni. Uno su tutti: “Il codice da Vinci”. Vi ricordate il tormentone mediatico legato a questo romanzo? Gli speciali, i documentari, teorie vecchie e nuove che si mescolavano? Colto da quell'ondata, lessi anch'io, in modo del tutto automatico, il “Codice da Vinci”. E lo finii, certo. 
Oggi mi chiedo: quell'accozzaglia di sviluppi fanta-religiosi e gossip millenari aveva forse qualcosa di meglio di un libro di Fabio Volo? Non credo. Il pretesto era interessante, d'accordo, ma tutto era finalizzato a ottenere un successo planetario. E così è andata. In ogni caso, il mio pregiudizio in quella situazione era venuto meno e aveva fatto sì che finissi il libro. E oggi, quindi, finalmente libero da ogni pregiudizio, potrei rileggermi Fabio Volo e giudicarlo con più oggettività. O magari Moccia. Sì, Moccia. Mica è nato ieri quello. Si è creato un impero scrivendo di amori adolescenziali, tra rapporti sessuali precoci e nomignoli dal sapore anglosassone, che fa più figo. Può darsi che siano scritti anche bene i suoi libri, d'altronde non lo posso sapere. Però, ripensandoci, va bene non avere pregiudizi, ma farsi del male come il più compiaciuto dei masochisti, quello no. Moccia mi sa proprio che non lo leggo...
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