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“I ragazzi del mucchio” di Silvio Bernelli

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Di Michela Polito

“I ragazzi del mucchio" di Silvio Bernelli (Sironi Editore) è il libro che vi propongo. Se come me siete patologicamente nostalgici di un’epoca storica, gli anni ’80, di un ambiente, l’underground, e di una ben precisa visione del mondo, quella proposta dall’hard core punk, figlio del punk di matrice inglese ma depurato dalle distorsioni nichilistiche che gli erano proprie, allora anche voi come me subirete la fascinazione di questo romanzo, rimanendone folgorati. 

La scena si apre in una Torino spenta insieme all’incendio del cinema di piazza Statuto, tragedia in seguito alla quale il comune, sulla scorta di controlli sempre più severi in merito alla sicurezza dei locali, aveva decretato innumerevoli chiusure, rendendo Torino una città fantasma. Almeno in superficie. Perché invece, nei sotterranei della città, andava dilagando nei primi anni ’80 un brulicare di vita che, affondando le sue radici negli USA, Inghilterra, Finlandia e Germania, lungo tortuose vie fatte di autostop e furgoni sgangherati, accuratamente lontane dagli sberluccicanti circuiti milionari delle potenti case discografiche, era riuscito ad allungare quelle radici sino in Italia e, nella contingenza, sino a Torino. “La filosofia delle nuove punk band era semplice”, scrive Bernelli, “suonare solo nei locali del circuito indipendente, pubblicare dischi in proprio o con minuscole case discografiche, fare di testa propria e combattere il potere in ogni sua forma”.

Sullo sfondo di questa presa di posizione, nonché di sale da concerto gremite di mezza Europa e di mezza America, di birre, di squat, di facce di vita, di fate nordiche, di impianti e di amplificatori, di strumenti musicali custoditi come reliquie e a volte addirittura battezzati, come nel caso di Riccardo, il basso dell’autore, si staglia la vicenda di questo mucchio di ragazzi, come si definiscono loro stessi citando "Il mucchio selvaggio" di Peckinpah, e cioè i membri dei gruppi Declino e Indigesti, in fratellanza con i Negazione, l’altra parte del “mucchio”: i gruppi hard core più in auge sulla scena musicale italiana dell’epoca. E non potrebbe esserci persona più qualificata dell’autore, Silvio Bernelli, essendo stato bassista dei primi due gruppi, a regalarci lo spaccato delle vicende di questo manipolo di piccoli outsider, ragazzi tra il liceo e l’università, che cavalcando l’onda della “cosa più viva che ci fosse in circolazione”, il punk, mettono in atto la loro crescita esistenziale nel tentativo, pienamente riuscito, di superare ogni volta se stessi, spingendosi più su di un gradino, ma sempre rigorosamente insieme. 

Più che un romanzo un lungo racconto, e più che un racconto un documentario, finalmente si assiste a un fenomeno che, in perfetta e appagante linea con la filosofia don’t care del punk così ben incarnata nell’opera, se ne frega, anzi se mi è consentito, se ne strafrega di tutte quelle regole da scuola di scrittura creativa su come tenere viva l’attenzione del lettore tramite escamotage di natura drammatica, a testimonianza del fatto che un’opera è riuscita, e per riuscita intendo che riesce a farti toccare la vita, il cuore, a farti venire la pelle d’oca e a generare emozioni, in un’unica espressione, a creare senso, anche se la prima donna non è la trama in senso accademico, ma l’ambientazione. Ma per far sì che l’ambientazione sopperisca alle peripezie aristoteliche è necessario che sia come una colazione a base di aringhe crude e birra, piuttosto che di pasta pucciata nel caffelatte. Come Bernelli insegna.
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