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Guadagnare per pubblicare o pubblicare per guadagnare?

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Di Mirko Tondi

Guadagnare soldi per pubblicare con un editore o viceversa?

L'Italia è il paese dei luoghi comuni, in quante occasioni lo abbiamo sentito dire. È una frase che diventa a sua volta un luogo comune. Ma forse negli altri paesi diranno qualcosa di simile. Forse l'intero mondo vive di luoghi comuni. 

In ogni caso, eccone uno che ultimamente mi tormenta: “In Italia ci sono più persone che scrivono rispetto a quelle che leggono”. Alla fine è vero, può darsi. Secondo recenti statistiche, nel nostro paese ogni persona legge in media un libro all'anno. Invece, di gente che scrive ce n'è in abbondanza: riflessioni, poesie, canzoni, racconti, romanzi, e quant'altro si possa scrivere. Cresce persino il numero di quelli che imbrattano i muri, lasciando il loro discutibile pensiero, che spesso inneggia alla ribellione, rivoluzione, o quello che è, basta che sia qualcosa di sovversivo. Ma quest'ultimi hanno altri propositi.

Il luogo comune in questione si riferisce a quelli che scrivono per passatempo, per una pura e irrefrenabile passione, oppure a quelli che lo fanno per una vera e propria ambizione di sfondare nel fulgido mondo della letteratura moderna. Ora, il gioco è semplice. Escludiamo dal calderone tutti quelli che scrivono per loro stessi, tenendo le proprie cose nel cassetto, chiuse a chiave e con nessuna intenzione di mostrarle agli altri. Al contrario, mettiamoci dentro tutti quelli che hanno scritto qualcosa e pensano a una eventuale pubblicazione.

Ed è qui che si pone il problema fondamentale: guadagnare per pubblicare o pubblicare per guadagnare? Due strade, alle quali si arriva in modi differenti. Talvolta queste due strade si incrociano. C'è chi le intraprende entrambe, prima una poi l'altra. Ma di chi si tratta, in linea di massima? Beh, riguardo ai primi, si può dire che questi, generalmente, svolgono altri lavori e investono un po' dei loro soldi (in qualche caso anche più di un po'...) in pubblicazioni con case editrici perlopiù sconosciute (o comunque medio-piccole), che venderanno qualche copia a parenti e amici. Dei secondi, invece, si può affermare che, escluse alcune rare eccezioni che in effetti riescono a imporsi nel panorama editoriale, rischiano di cadere vittime delle loro stesse ambizioni, misto di sogno e distorsione della realtà.

Inutile dire che ogni pseudoscrittore che abbia partorito un romanzo fantastichi sul fatto di vederlo in vendita nelle librerie e, perché no, anche su quello di leggere il titolo della sua opera nelle classifiche dei libri più venduti. È altrettanto inutile dire di non riporci su tante speranze, seppur sognare a occhi aperti sia parte integrante della vita di uno che ogni tanto butta qualche parola su un foglio. Forse, considerate queste premesse, non è poi tanto sbagliato investire sulle proprie pubblicazioni. Si è meno intrappolati dall'ambizione, in quel caso. Ma qui cominciano anche i dubbi. Si pubblica tanto per pubblicare? Si perde di credito come scrittori, o presunti tali? E poi, soprattutto, come si fa a considerarsi davvero meritevoli di essere pubblicati?

Non si può rispondere a queste domande, o almeno non in modo univoco. Prendete dieci persone e sono sicuro che otterrete almeno sette/otto risposte diverse. La pubblicazione può essere in certi casi un'occasione per farsi conoscere, in altri solo una soddisfazione che rimane a livello personale, in altri ancora niente di più che un ingente investimento. Che fare, allora? Niente, semplicemente continuare a scrivere. Il resto, ovvero l'ambizione, la speranza, il tempo o i soldi investiti, l'entusiasmo o la delusione, il successo o la critica negativa, fa parte del gioco. Purtroppo. O per fortuna, direi.

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