Scuola e Letteratura – 1
Autore: Stefano VerziaggiVen, 30/04/2010 - 10:04
Di Stefano Verziaggi
Il primo giorno di scuola
Nell’opinione comune, si è naturalmente portati a pensare che il primo giorno di scuola sia un’esperienza tutto sommato circoscritta ad un tempo limitato della propria vita: il primo giorno d’asilo, delle elementari, delle medie, delle superiori. Toh, aggiungiamoci anche quello dell’università. E la faccenda si chiude lì: quattro o cinque giorni totali che, nell’arco della propria esistenza, sono ben misera cosa; meno di una settimana di vita. È molto di più il tempo che passiamo a soffiarci il naso o ad aprire i balconi di casa nostra. Certo, si tratta di giorni segnati da ansie, speranze, notti insonni, delusioni, attese febbrili, matricole fatte con il pennarello indelebile: ma i traumi della vita sono ben altri. Anche questi momenti, come molti altri, finiscono nel nostro ampio quadernone dei ricordi, pronti per essere sfoggiati alla prima reunion con i vecchi compagni di classe.
Invece, per una categoria di persone, ossia per gli incauti che, come me, scelgono l’impervia via dell’insegnamento, c’è un altro temibile primo giorno di scuola: la prima ora, la prima campanella, la prima classe, la prima lezione.
Sulla carta, il mio primo giorno di scuola, ovvero di lezione, non è stato dei più fortunati: classe IV liceo (quindi giovani adulti dotati di raziocinio), 31 alunni (e quindi 62 occhi), letteratura italiana del ‘400 (quindi Umanesimo, Machiavelli, Poliziano: direi che non si tratta dei miei cavalli di battaglia. Ma dubito che siano i cavalli di battaglia di chicchessia).
Entrare nel mondo della scuola dall’altra parte è un’esperienza nuova e difficilmente immaginabile; l’elemento che crea maggiore ansia è la pressoché totale mancanza di familiarità con l’ambiente e con le persone. Corridoi e stanze misteriose; volti di colleghi (magari anche cordiali) estranei e inconsapevoli.
Mentre mi avvicinavo alla mia aula, accompagnato da un collega veterano ignaro della mia patetica situazione, mi sentivo in modo terribile: secchezza delle fauci, mancamento delle gambe, tremore e sudorazione diffusa. Leggera aritmia cardia, decisa dispnea. Terrore. L’elenco delle paure è quasi infinito: inciampare, sbagliare a leggere i nomi, fare battute a cui nessuno riderà, non avere nulla da dire, avere la patta aperta, non essere ascoltati, rendersi ridicoli, farsi scappare un rutto, essere colti dalla sindrome di Turette, etc. Eppure l’ho fatto: dopo aver salutato la classe con un filo di voce (per i motivi di cui sopra) mi son seduto strategicamente dietro la cattedra, al riparo; ho aperto il registro personale su cui avevo diligentemente trascritto i nomi (come si apre un registro? Ricordi ginnasiali che affiorano prepotenti) e ho letto l’elenco. Ho scambiato una battuta con alcuni, per “rompere il ghiaccio”, come mi insegnavano i migliori pedagogisti. Ed è andato tutto bene, dai, per lo meno benino, e mi sono quasi rilassato (e dico quasi). Mi sono compiaciuto, mi sono detto che in fondo non era così difficile; bastava solo prenderci un po’ la mano, capire come gestire tutta quella mole di processi, creare degli automatismi efficaci. Finché sono arrivato a lei, la moretta che ha continuato a scrivere per tutto l’appello senza degnarmi di uno sguardo.
Ed è in quel preciso momento che è scattato il peccato di tracotanza.
Subito dopo che ha detto “presente”, le chiedo: “E quali sono i tuoi libri preferiti?”. Domanda innocente, all’apparenza, ma che vuol fin da subito svelare le debolezze dell’avversario (vorrei ricordarti che “I piccoli brividi” e i “Gaja superjunior” non sono più adatti alla tua età da un bel po’). Risposta inaspettata: “i russi: Tolstoj, Dostoevskij”. Ma questa allora mi vuole prendere in giro! Ora ci penso io. “Seeee, libri Dostoevskij… dai nessuno legge quella roba alla tua età! Sono noiosissimi”. Il ghiaccio scende nell’aula; lei mi fissa con serio disprezzo; finché una compagna di classe, timidamente alzando la mano, conferma: “Ma no, è vero… Lei è un’appassionata di Delitto e Castigo, l’anno scorso ha fatto anche la presentazione in classe.”
Molto bene.
Suonerà prima o poi, questa campanella.
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