Riflessioni in punta di mouse
Autore: Marcello MarinisiGio, 08/04/2010 - 11:00
Questa serie di interventi sulla comunicazione e il mercato editoriale è giunta al termine. Ho toccato tutti i punti che mi premeva condividere con tutti voi e spero di avere fornito qualche informazione interessante a tutti coloro che hanno voluto concedermi un po' del loro tempo leggendo queste mie righe.
Nei prossimi giorni mi inventerò qualcosa di cui parlare nei prossimi interventi, lasciando spazio a argomenti un po' più vari, ma che sempre hanno a che vedere con la comunicazione e il modo in cui essa viene utilizzata all'interno del mercato editoriale.
Oggi, mi ritaglierò un po' di tempo per alcune riflessioni che vorrei condividere con voi relativamente all'intero panorama letterario italiano.
Si fa un gran parlare di editoria a pagamento, di POD, di morte della letteratura, di lettori svogliati, di romanzi commerciali studiati con il solo intento di vendere e senza il benché minimo spessore intellettuale. Queste discussioni riempiono le colonne dei giornali e le pagine dei blog da ormai talmente tanto tempo che non riesco più a ricordare quanto. Eppure non si è mai riusciti a venire a capo di quella questione che sta alla base di tutte queste discussioni: qual è lo stato di salute del mercato editoriale italiano?
Molti diranno che è pessimo, altri calcheranno la mano dicendo che l'elettroencefalogramma è piatto e che non ci sono più speranze, altri invece metteranno in luce le eccellenze della letteratura del Bel Paese, citando nomi illustri – anche di promettenti esordienti –, gente che fa la differenza e che alimenta le speranze di tutti coloro che ancora credono che si possa scrivere e scrivere bene, anche al di fuori delle regole marce che frustrano l'"arte" e che chiamano mercato.
Io credo che il mondo dell'editoria italiana stia evolvendo verso una struttura più vicina a quella dei mercati esteri e che questo assestamento stia facendo sentire le sue vibrazioni a tutti i livelli.
Quando ho iniziato la scrittura della mia rubrica pensavo che avrei ricevuto molte più critiche visto il taglio dato agli articoli e il messaggio di fondo che li pervadeva: per emergere nel mercato è necessario sapere farsi pubblicità. Invece mi sono stupito nel leggere messaggi di commento di giovani autori desiderosi di comprendere i meccanismi dell'advertising e le tecniche utili per la promozione del proprio romanzo. Questo è sintomo di una nuova prospettiva, una visione diversa del mondo della letteratura, se volete, più consapevole. Immaginate che cosa sarebbe successo se avessi parlato di "mercato" letterario trent'anni fa, quando si pensava che scrivere era un'arte che il resto era niente.
Ognuno di noi ha un libro dentro di sé che spinge per essere messo per iscritto, nessuno escluso. Molti non arriveranno mai al fatidico momento in cui ci si siede davanti alla tastiera e si comincia a tessere l'ordito della trama; altri molleranno a metà percorso, sfiduciati dalla prima difficoltà; altri ancora porteranno a termine il loro lavoro e penseranno di avere scritto il più bel romanzo di tutti i tempi (forse è così, ma ci sono scarse possibilità); altri, infine, saranno lievemente soddisfatti di loro stessi e con umiltà accetteranno la sfida di migliorarsi giorno dopo giorno. Ecco, è proprio a questo ultimo manipolo di individui che mi rivolgo, coloro i quali hanno la consapevolezza innata o acquisita di quanto sia difficile e dell'impegno che richieda intraprendere il mestiere dello scrittore. Sono queste persone che tengono in mano il destino del mondo letterario italiano, sono questi individui che potranno ambire a diventare una penna nota e non vituperata.
Che esistano tre mondi paralleli ormai è chiaro.
C'è il mondo della letteratura di intrattenimento, quella che non ha alcuna pretesa di assurgere agli onori degli allori, di salire sulla fantomatica Torre d'avorio e che se ha questa pretesa è meglio che venga subito stigmatizzata.
Poi c'è il mondo della cosiddetta vanity-press, cioè tutti quei libri che vengono pubblicati soltanto per coccolare l'ego di coloro che si vorrebbero scrittori, ma che in realtà altro non sono che "imbrattatori di pagine bianche" e che avrebbero fatto meglio a seguire il consiglio di quell'amico che gli suggeriva di darsi all'ippica.
Infine c'è la Letteratura, quella con la l maiuscola, quella che fa la storia e che entra a pieno titolo nelle pagine d'Arcadia e nei libri di letteratura. Questa è e resterà sempre una fetta minoritaria del mercato, non perché non sia di valore, piuttosto perché essa si rivolge a una nicchia, a un gruppo ristretto di lettori che possono apprezzarla. Non è cultura pop, è cultura alta e, in quanto tale, sarà sempre vista con diffidenza (lo stesso discorso vale per la musica). Beninteso, non sto facendo un discorso di classe, sto soltanto analizzando una questione.
Questi tre mondi spesso non si incontrano mai, altre volte invece ci sono autori che fanno il "balzero", saltano la staccionata e si attestano verso piani più alti della Torre.
All'interno di questo panorama, la comunicazione svolge un ruolo di primo piano. basta dare un'occhiata veloce ai miei interventi precedenti per comprenderne la ragione. Indovinate un po' quale di queste tre sfere utilizza in maniera più massiccia la pubblicità? (Non mi pare proprio una domanda a cui è difficile rispondere).
Non mi resta che chiudere rinviandovi a tra quindici giorni.
Stay tuned.
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