Magia e bisogni
Autore: Adriana PediciniLun, 19/04/2010 - 00:12
Di Adriana Pedicini
Nella nostra società si possono individuare varie categorie di sopravvivenza che legano indissolubilmente l’uomo al suo passato il quale di volta in volta si ripropone e ogni volta con maggiore suggestione. Tra esse un posto rilevante occupa la magia.
Certamente la magia si può definire la forma originaria del pensiero umano. Essa sarebbe esistita un tempo allo stato puro e l’uomo avrebbe pensato in origine solo in termini magici. La predominanza dei riti magici nei culti primitivi e nel folklore costituisce, si pensa, una prova importante a favore di tale ipotesi.
L’uomo primitivo infatti avvertiva il bisogno di dominare le forze della natura e della vita in virtù di particolari poteri che prescindevano dal riconoscimento e dall’implorazione a un Essere superiore.
Di qui la messa in pratica di superstizioni e credenze né religiose, né scientifiche, cosa che sussiste nella società attuale sotto le forme dello spiritismo e dell’occultismo.
Due sono le forme fondamentali di magia che muovono da due principi diversi:
Il simile agisce sul simile, magia imitativa dunque o simbolica.
La parte agisce sul tutto.
Tuttavia la magia contiene dappertutto gli stessi elementi essenziali, quindi è identica dappertutto.
Non è utile procedere secondo l’analisi anche se molto esauriente di un numero pur considerevole di cerimonie magiche.
La magia è infatti debolmente istituzionalizzata e si presenta come un insieme di azioni e credenze mal definito anche per chi la pratica o ci crede.
Grande importanza comunque ha la tradizione.
Infatti i riti magici e l’intera magia sono fatti di tradizioni. Atti che non si ripetono non sono magici. Atti alla cui efficacia non crede un intero gruppo non sono magici. La forma dei riti è trasmissibile ed è avvalorata dall’opinione comune.
Donde consegue che atti strettamente individuali, come le pratiche superstiziose particolari dei giocatori prima di un evento sportivo non possono essere chiamati magici.
Esistono al contrario altri riti che sono regolarmente ritenuti magici come i malefici. Essi sono costantemente qualificati in tal modo dal diritto e dalla religione. Illeciti, sono espressamente puniti e proibiti.
A questo punto è evidente che c’è antagonismo tra rito magico e rito religioso.
Innanzitutto riti magici e riti religiosi hanno agenti diversi. Ma ci sono molti altri elementi distintivi: la scelta dei luoghi ove deve svolgersi la cerimonia magica. Questa non si attua nel tempio o sull’altare domestico; ordinariamente si svolge nei boschi, lontano dalle abitazioni, durante la notte o nell’ombra. Diversi sono anche i mezzi utilizzati e sentimenti che suscitano.
Sicuramente la magia determina un fortissimo condizionamento su menti deboli e su persone di scarsa cultura, di scarsa “fortuna” o pressate da eventi spiacevoli.
Vi sono intere categorie sociali che, pur non appartenendo apertamente alle tipologie precedentemente indicate, in realtà possono essere qualificati personaggi la cui dimensione esistenziale assolutamente esteriore è legata a fattori che essi stessi sentono labili, e precari cercano il consolidamento di se stessi al di fuori di sé in ambiti ritenuti capaci di suggestionare la soddisfazione dei bisogni.
Già nell’antica Roma tuttavia il Collegio romano dei Pontefici osteggiava il ricorso a pratiche magiche che non avessero come punto di riferimento la divinità. Questa era invocata per ottenere la soddisfazione di un voto diretto non al vantaggio di una sola persona, ma al bene della comunità: scampo da pericoli e malattie, incremento del raccolto e del bestiame, vittoria sul nemico erano i desideri più ricorrenti. Per il raggiungimento di essi si servivano di un armamentario di gesti e di formule di tipo magico basato sull’elementare sofisma “post hoc, ergo propter hoc”, e sull’innato senso di un’affinità che si ritiene colleghi oggetti simili o aventi relazioni tra di loro come parte di un tutto.
Ad esempio la cerimonia della lustratio agri, rito diffusissimo a Roma, consisteva nella purificazione apotropaica dei campi al fine di liberarli da potenziali pericoli come aridità e malattia. Forse il primo a utilizzare tale rito fu Servio Tullio il quale secondo la tradizione stabilì per primo la consuetudine di procedere al lustrum del census (di qui la cadenza quinquennale del lustrum).
Non era questa però l’unica applicazione di tale pratica cultuale. Oltre al rituale della lustratio aquae si sa, ad esempio, che nel campo Marzio, animali sacrificali venivano condotti intorno all’esercito in armi o al popolo in assemblea in funzione di purificazione apotropaica. Questo rituale veniva chiamato lustrum da cui la forma verbale lustrare impiegata anche da Virgilio.
Leggiamo in Catone, II secolo a.C. (De agricoltura cap. 141,1-3)
“Bisogna purificare il podere in questo modo: comanda che le tre vittime, porco, agnello e vitello, siano condotte in giro intorno al campo pronunciando queste parole: ”Col favore degli dei e perché tutto mi vada bene io ti ordino, o Manio, che queste tre vittime siano condotte in giro per il fondo, il podere, la terra mia, o solo per quella parte che tu giudichi debba essere purificata”.
"Invocate prima Giano e Giove, e dopo aver bevuto direte così: Oh padre Marte, ti prego e ti imploro di volere essere propizio a me, e alla mia famiglia: per questo motivo quindi ho disposto che si facesse, attorno al mio campo, attorno alla mia terra ed attorno al mio fondo il sacrificio di un porco, di una pecora e di un toro: affinché tu impedisca, tu difenda ed allontani le malattie curabili ed incurabili, la sterilità e le devastazioni del suolo, le calamità e le intemperie, e affinché tu aumentassi e concedessi di prosperare alle messi, al frumento, alle vigne ed ai virgulti; salvassi e proteggessi i pastori e il bestiame, e concedessi buona salute e forza a me, alla mia casa ed alla mia famiglia; quindi è necessario purificare queste stesse cose, il fondo la terra e il mio campo, rendendo sacrificio così come dissi: sii onorato dal sacrificio di questi suovitaurili lattanti".
Cato, De agri c. 141: [1] Agrum lustrare sic oportet: impera suovitaurilia circumagi: «Cum divis volentibus quodque bene eveniat,/ mando tibi, Mani,/ uti illace suovitaurilia/ fundum agrum terramque meam,/ quota ex parte sive circumagi sive circumferenda censeas,/ uti cures lustrare». [2] Ianum Iovemque vino praefamino, sic dicito:/ «Mars pater,/ te precor quaesoque/ uti sies/ volens propitius/ mihi domo familiaeque nostrae:/ quoius rei ergo/ agrum terram fundumque meum/ suovitaurilia circumagi iussi;/ uti tu/ morbos visos invisosque,/ viduertatem vastitudinemque,/ calamitates intemperiasque/ prohibessis defendas averruncesque;/ utique tu/ fruges frumenta,/ vineta virgultaque / grandire dueneque evenire siris;/ [3] pastores pecuaque/ salva servassis/ duisque duonam salutem valetudinemque/ mihi domo familiaeque nostrae;/ harunce rerum ergo/ fundi terrae agrique mei lustrandi/ lustrique faciendi/ ergo,/ sicuti dixi/ macte hisce suovitaurilibus lactentibus immolandis esto;/ Mars pater,/ eiusdem rei ergo/ macte hisce suovitaurilibus lactentibus esto».
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