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Aldo Busi, profeta o teleimbonitore?

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Di Daniela Nardi

Nelle ultime due settimane è imperversata una polemica, trita e ritrita, sulla “ritirata strategica” di Aldo Busi dalla paradisiaca Isola dei (semi)Famosi.
Se ne sono dette in proposito di tutti i colori; si è passati dalla demonizzazione di un becero e triviale pseudoscrittore con manie di grandezza, alla santificazione di un genio della letteratura, comeluinessunomai.
Come al solito la verità sta nel mezzo.
Checché se ne dica, anzi proprio perché se ne parla tanto, Aldo Busi riesce ancora una volta a catalizzare l’attenzione. E in un momento di sua produzione non brillante. L’ultimo libro intitolato AAA non è certo l’estrinsecazione del massimo sforzo cerebrale.

Personalmente trovo Busi molto divertente.
Per esempio la tirata che ha fatto nell’ultima puntata dell’Isola (quella in cui se n’è andato). Ha detto un mucchio di ovvietà, travestite da provocazione. Penso perfino che il suo ruolo da sovversivo, verso la fine, gli abbia preso la mano, costringendo una grossolana Simona Ventura a strepitare “Ora basta! Se vuoi andartene vai pure!”. Forse mi sbaglierò, ma ho colto un leggero smarrimento in Busi, come di chi sia stato piantato in asso a tradimento, nel bel mezzo di una civile discussione.
Le conseguenze delle sue esternazioni, però, non gli si sono rivoltate contro, anzi, hanno alimentato e rafforzato l’immagine busiana del Nemo propheta in patria, restituendo di lui un’immagine quasi “eroica”, di uomo libero, refrattario alle regole imposte dal sistema dell’Industria Culturale e proprio a quel pubblico nazional-popolare che avrebbe dovuto inesorabilmente condannarlo.
E lui che fa? Ovviamente ne approfitta. Sono innumerevoli le interviste che rilascia e che rilasciano di lui un’immagine di misantropia incompresa, solitudine ripiegata sul proprio ego smisurato alimentato da quella stessa solitudine, trascinata come zavorra e mostrata però come trofeo di essere “altro” rispetto alla comune e insignificante massa umana.
E così lo sorprendiamo a sorprenderci con le colorite affermazioni:

“Ma io non penso che gli italiani siano così beceramente sprovveduti come i concorrenti di quel reality, dove si è concentrato un numero spropositato di psicopatici. L’Isola è come il panem et circenses dei cristiani dati in pasto ai leoni: la gente vuole il sangue, vuole vedere dei vip che si scannano per una noce di cocco.”(da Repubblica 2010)

“Vede, la televisione è lo specchio dell’Italia di oggi, in cui l’agenda politica viene dettata dal Vaticano, in cui vige una morale sessuale repressiva, dove la Chiesa non si è liberata dell’omofobia e mette al centro dell’umano l’elastico delle mutande per sviare i cittadini dal rischio di ripristinare lo Stato etico“.(da Il Giornale 2010).

È singolare che ogni volta che un pensiero busiano viene esternato, si inneschi una reazione a catena che coinvolge estimatori e detrattori dello scrittore, a tutti i livelli. I forum su Internet, che siano di siti letterari o di gossip televisivo, perfino quelli legati a movimenti come Comunione e Liberazione, sono zeppi di discussioni sul Busi-pensiero, spesso degenerando in risse furibonde .
Gli articoli poi si sprecano. Ne cito due di opinioni opposte, tanto per dare un’idea.
Il primo è di Nicola Lagioia che su il Riformista del 24 marzo, a proposito del linguaggio utilizzato da Busi sull’Isola, scrive:

“Busi sarà pure indisponente e rompiscatole, ma polemizza con il prossimo cavalcando opinioni che a propria volta cavalcano ragionamenti normalmente (sarebbe bello dire: ovviamente) linguistici. Il che provoca un effetto da incubo: gli altri, semplicemente, non lo capiscono.”

E su questo sono solo parzialmente d’accordo, perché io ho capito benissimo quello che diceva Busi e non mi ritengo certo un genio. Delle due l’una: o sull’Isola sono tutti dei minorati o, più che il contenuto, era incomprensibile il momento in cui lo diceva.
Il secondo articolo è di Massimiliano Parente, scritto il 17 Gennaio su Il Giornale.it, quindi in tempi non sospetti, e questo la dice lunga sulla capacità del personaggio Aldo Busi (non dello scrittore!) di scatenare polemiche senza aver fatto ancora nulla.
Alla notizia della sua partecipazione sull’isola, Parente si sente in dovere di fare una sua personale analisi su ciò che è stato e su ciò che è diventato, il suo scrittore preferito.

Infatti sostiene che Busi è “un superuomo, che ha dato alla lingua italiana una nuova lingua, una nuova estetica, e gli avrebbe dato anche una nuova etica se non si fosse impantanato in un solipsismo moralistico e macchiettistico e politico-sociale, dentro cui finiscono prima o poi tutti gli scrittori italiani, convinti di doversi dare una missione civile e politica per esistere”

Quindi chi è Aldo Busi?

L’illuminato autore di opere come Seminario sulla gioventù, Vita standard di un venditore provvisorio di collant, La delfina bizantina, Sodomie in corpo 11, Sentire le Donne e tanti altri piccoli capolavori che, come dice Parente, hanno dato alla lingua italiana una nuova lingua, che sono capaci di dare all’etica un’estetica e viceversa, il propheta che ritiene che un romanzo abbia un suo contenuto solo se e in quanto esegesi provocatoria delle umane esiguità.
Oppure un isterico e egocentrico teleimbonitore di ideologie velleitarie, snobistiche prese di posizione, proclami fini a se stessi, protagonista di esibizioni da varietà, che dice e si contraddice ogni due per tre.
Penso che la chiave per risolvere il dilemma sia da ricercarsi nel rapporto di reciprocità tra i mass media e Aldo Busi.
La fabbrica del consenso lo ripesca come un jolly ogni volta che vuole dimostrare la sua capacità di essere alternativa al pensiero conformista che lei stessa produce, con risultati devastanti.
Busi la utilizza semplicemente per parlare di sé. Lo fa esibendosi in provocazioni che, a ben vedere, sono gettate lì più per scandalizzare che per far riflettere, per fare da specchietto a novelli lettori incuriositi dal baccano che produce. Solo quando costoro sono stati catturati dalla forza narrativa e linguistica di un suo romanzo, viene fuori la verità.
In quest’ultimo incontro/scontro, infatti, il vero vincitore è proprio lo scrittore, anche se travestito da guitto. In fondo si sa: nella storia restano le opere.
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