Writer's dream, Linda Rando, Daniele Pozzi e compagnia: il sogno continua
Bella, bella, bella. Di cosa parlo? Dell'intervista a Linda Rando che Morgan ha realizzato la settimana scorsa, sulla scia del mio post sull'ormai celeberrimo Writer's dream. Bella perché Linda si è raccontata a tutto tondo senza alzare i toni, bella perché – sia che la amiate, sia che la odiate – non si può negare che il suo scopo sia tra i più nobili. «È come se il mio datore di lavoro mi dicesse che per un certo periodo devo pagargli mille euro al mese per lavorare con lui e che gli eventuali guadagni che superano quel tetto saranno miei», sono le parole che ha usato per definire l'editoria a pagamento.
Detto questo, vorrei tirare le fila del discorso ripescando alcuni commenti al mio post. Ringrazio anzitutto Linda e i membri del WD, così come La Zisa Editore, per aver espresso la loro posizione in merito. In secondo luogo, vai di copia e incolla per chiarire alcuni aspetti.
Marcello e Morgan hanno espresso un punto di vista che sento molto mio: «rendono un buon servizio alla comunità di scrittori internauti, per lo meno per farsi un'idea di massima sull'ambiente».
Cosa significa? E' chiaro che l'attività del WD non copre l'intero panorama editoriale italiano, perché ciò richiederebbe uno sforzo umano e di energie decisamente alto. Ma è indubbio che il sito fornisce un quadro generale sul tema e rende consapevoli di alcuni presupposti essenziali:
1- pubblicare a pagamento NON E' illegale, così come non lo è autoinfliggersi torture medievali: sta al buon senso della persona scegliere se farlo o non farlo;
2- pubblicare a pagamento NON E' una passo sufficiente et necessario per entrare nel mercato editoriale: qualche tempo fa un'amica mi ha raccontato di una sua conoscente che ha pubblicato un libro per bambini «e non ha speso neanche tanto»... come se quel 'spendere' fosse un concetto insindacabile;
3- alcune case editrici pubblicano dietro compenso, altre no.
Andrea, dello staff WD, precisa che «il Writer's Dream non nasce come forum/blog di protesta contro le case editrici a pagamento, ma come strumento di confronto tra aspiranti scrittori».
Molto interessanti le domande di Jair: «Questo portale ha o no un'utilità di qualche tipo per gli aspiranti scrittori a cui si rivolge? Quali sono i limiti e i difetti dello stesso?».
Provo a rispondere io, poi siete liberi di dire la vostra.
Uno: sì, è utile, sempre nell'ottica di quanto scritto qualche riga fa. Sono tanti i siti che parlano di 'quanto è bello scrivere', ma pochi quelli che scavano in profondo nella realtà e spiegano cosa concretamente significa entrare in contatto con un editore.
Due: di limiti e difetti ho già parlato la volta scorsa. Giustificati o meno, i toni da Grande Fratello non mi piacciono. Hanno il solo fine di alimentare le discordie private tra Linda e i suoi detrattori, ma finiscono per confondere il lettore/autore medio che più legge, meno capisce.
Un altro limite? Il fatto che il sito è gestito da esseri umani, che in quanto tali possono sbagliare.
Prendiamo il caso de La Zisa editore: la sua lunga replica al post denuncia come «...la sig.na Linda Rando alias Ayame, persona a noi sconosciuta, così come non lo è all’interno del mondo editoriale e letterario, nel suo Blog ha inserito, senza alcuna verifica ma basandosi esclusivamente sul “si dice” di pochi malinformati, la nostra Casa Editrice nella lista “inferno” delle case editrici a pagamento».
Mi permetto di rispondere pubblicamente, in modo da condividere con voi il mio pensiero e conoscere la vostra opinione in merito. Anzitutto due premesse: cosa significa «non sconosciuta nel mondo editoriale e letterario?». Il fatto che gestisce un noto portale web sull'argomento le dà una certa notorietà nell'ambiente? O cos'altro?
In secondo luogo, chi sono i «malinformati» che hanno portato all'inserimento nelle case editrici a pagamento, se la stessa casa editrice ha ribadito che «per gli autori emergenti, vista la precaria situazione in cui versa l’editoria italiana, siamo costretti, nostro malgrado, a chiedere all’autore stesso di condividere l’impegno attraverso l’acquisto di un certo numero di copie»?
Per capire qualcosa di più, confrontiamo la pagina WD dedicata alla casa editrice e il suo sito ufficiale.
La Zisa sostiene di essere stata erroneamente inserita nell'elenco delle case editrici che «chiedono un contributo o l’acquisto copie, non hanno distribuzione, sono poco chiare nella definizione dei dettagli del contratto, non hanno codice Isbn, non promuovono o seguono gli autori, non fanno un lavoro di editing ». Ora, dal sito si evincono due cose: i libri hanno codice ISBN ed esiste un canale di distribuzione.
Linda ha dunque sbagliato? Questione di interpretazione. Il WD introduce infatti l'area del forum dedicata alle case editrici a pagamento con la dicitura «il criterio più importante è il primo (la richiesta di contributo, ndr), gli altri possono essere presenti o no».
Vi ricordo che, proprio per le ragioni di cui sopra, è in corso una causa legale tra La Zisa e il Writer's dream. Al di là delle opinioni personali sulle responsabilità dell'uno o dell'altro, è molto triste che si debba arrivare a questi punti, non lo pensate anche voi?
Tra tutti questi botta e risposta, ne manca uno che sinceramente mi aspettavo: quello di Daniele Pozzi. Ho cercato qualche informazione in più, per capire se si tratta di un fake o di una persona reale. Ci sono molti rimandi a un docente universitario di economia, ma di letteratura si parla poco, tralasciando le ripetute impronte lasciate su vari blog (da fantasymerdazine a bufalewordpresslinran). Il profilo Facebook sembra autentico, ma nulla più: né un raccontino, né un romanzo, niente. E il mio pensiero non può che tornare alla tristezza di cui sopra.
In coda, vorrei segnalare un interessante post comparso sul blog dello scrittore Sandrone Dazieri, che parla proprio di editoria a pagamento e Writer's dream. E mi permetto di copia-incollare una frase tratta dai commenti, forse un po' dura nei toni ma che a me fa riflettere: «Lo squallore delle case editrici a pagamento è direttamente proporzionale a quello di chi pubblica con loro. Chi sceglie di buttare i soldi pubblicando a pagamento si merita di perdere i soldi che ci mette».
Anche voi la pensate così?
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