Uno sguardo "antropologico": John M. Synge
di Paolo Melissi
Due tendenze, apparentemente distanti l'una dall'altra, sembrano confluire nella scrittura di John Millington Synge (1871 - 1909): una tendenziale propensione al camminare e al vagabondaggio e uno sguardo che oggi potremmo anche definire antropologico.
Scrittore e drammaturgo irlandese, Synge si trasferì a Parigi, dove incontrò Yeats, la cui amicizia divenne per lui un costante punto di riferimento. E fu Yeats a spingerlo a soggiornare nelle isole Aran, per studiare il gaelico e nella convinzione che dall'osservazione della vita concreta potesse sbocciare una vera ispirazione. Il tempo trascorso sulle isole, trasformatosi in seguito nel libro Le isole Aran, dice chiaramente dell'interesse di Synge per la vita del popolo irlandese, per le sue tradizioni (storie di fantasmi e fate, feste, canzoni, abitudini quotidiane), per la sua storia anche minuta.
Vagabondo in Irlanda è, in questo senso, l'opera in cui più compiutamente il binomio camminare/sguardo antropologico si realizza. Come nel caso delle Aran, si tratta in primo luogo di diari, di cronache di spostamenti e incontri nel Wicklow e nel West Kerry, che fungeranno in seguito da serbatoio dove attingere linfa per le sue opere successive. Il camminare in questo caso è declinato in lunghi spostamenti da un paese all'altro, in attraversamenti di lande disabitate e nel superamento di brughiere e colline. L'elemento antropologico, invece, trova qui una sua manifestazione inaspettatamente “moderna”: quella della partecipazione con l'oggetto dell'osservazione. Synge parla con gli abitanti dei villaggi e con i viandanti e i vagabondi, raccoglie informazioni, annota, scambia conoscenze musicali (da studioso e suonatore di violino).
Nel Wicklow segue le tracce dei Tinkers, i nomadi irlandesi. Nelle Glens, e nei paesini dai nomi melodiosi come Aughavanna, Glenmalure, Annamoe o Lough Nahanagan, scopre un piccolo mondo dove i costumi più antichi si sono conservati più a lungo, le donne indossano il vecchio copricapo tradizionale e il gaelico ha resistito in maniera più forte all'avanzata dell'inglese.
Poi la solitudine lo circonda lungo il percorso tra il Lake Superior e il passo di Sally Gap, fra dighe, campi di erica pieni di lepri, voragini di torbiere, canali coperti di nebbia. Una sensazione densa che avverte anche nel Kerry, da dove si scorgono le Isole Blasket e il Dunmore Head, l'estremità occidentale d'Europa. Ma non mancano gli incontri con un popolo in continuo movimento, disperso lungo le strade ma anche nei boschi, lungo i fiumi nelle brughiere, intento a raccogliere muschio, a mendicare, a spostarsi semplicemente da un villaggio all'altro, a vendere merci di ogni tipo, a raggiungere fiere per vendere o comprare, per suonare o ballare. Le leggende e i miti irlandesi emergono dalla memoria della gente e dei luoghi: una fiera dedicata a Puck, una lingua di sabbia dove Oisin fu portato nel Tir-Na-nOg, le sepolture di antichi marinai e di bellissime e nobili signore ricoperte di gioielli. Synge, infaticabile, prosegue nel suo viaggio, che lo porta a Bolus Head, poco oltre Ballinskelligs, dalla quale si vedono le isole di Deenish, Scariff, Hog's Head e Dursey.
Colto, abituato a vivere in una grande città come Parigi, Synge non esita a indossare gli abiti del viandante, vicino in questo ai tanti suoi connazionali costantemente in movimento, apparentemente “dispersi” sul suolo d'Irlanda, in un Paese ancora fortemente rurale, tradizionale e privo di mezzi di locomozione collettivi. Camminare, scorgere il panorama variare poco alla volta, collina dopo collina, procedendo verso l'Oceano, apre allo scrittore la visione del Paese più profondo, in certi casi nascosto. Ma non si tratta di pura contemplazione: Synge è dentro il paesaggio, è dentro le relazioni umane, è dentro la vita dei villaggi. Per quanto può un colto viandante come lui.
John Millington Synge, Vagabondo in Irlanda, Mattioli 1885
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