Riflessione sulla letteratura di Dan Brown
Autore: Claudia VerardiVen, 19/03/2010 - 10:01
Di Claudia Verardi
Poco prima di Natale è uscito Il Simbolo Perduto, l’ultimo libro di Dan Brown, e, come ogni volta che esce un suo libro, la pubblicazione ha scatenato molte polemiche. Dan Brown è uno dei romanzieri – meglio autore di thriller, per la precisione – più discussi degli ultimi tempi. Già professore universitario e storico dell’arte, lo scrittore americano ha pubblicato altri bestseller (uno fra tutti, Il Codice da Vinci) molto dibattuti per le forti tematiche legate, in particolare, al mondo ecclesiastico. Nato nel 1964 a Exeter, nel New Hampshire, dopo gli studi d’arte e di musica, Dan Brown decide di avvicinarsi al mondo della letteratura. Il grande successo lo ottiene con Il Codice da Vinci, che diventa presto un fenomeno mondiale, anche grazie al film diretto da Ron Howard, nel quale il personaggio principale, Robert Langdon, viene interpretato dall’attore Tom Hanks.
Di Dan Brown si parla, nel bene o nel male, e da molti viene indicato come il maestro del nuovo thriller. Di certo le sue storie si sviluppano seguendo un ritmo veloce e incalzante e si snodano piene di codici incomprensibili, luoghi oscuri e simboli segreti, anche della mente. Forse, è proprio per questo che queste vicende appassionano il lettore e lo avvinghiano fino all’ultima pagina. I suoi romanzi sono capolavori di suspense che si leggono, anzi, si bevono, tutti d’un fiato e non gli si può negare che abbia grandi doti nella strutturazione delle storie e nella creazione di plot più che avvincenti. La penna di Dan Brown è velocissima e acuta, anche se spesso incespica in errori anche banali, a volte addirittura ovvi. La cosa che colpisce di più, quando si parla di lui, è che infastidisce il lettore medio, così come gli addetti ai lavori del mondo editoriale. Con molta probabilità, è un autore che disturba per la capacità di plasmare polpettoni letterari che ottengono gli incassi editoriali più alti del pianeta (oltre 82 milioni di copie vendute nel mondo per il solo Codice da Vinci, superando anche l’ Harry Potter di J.K. Rowling) però forse non tutto è da buttare, anzi. Brown, da sempre appassionato di numeri e codici (suo padre era un professore di matematica), si appassiona, fin da ragazzo, allo spionaggio governativo e alla filosofia. La madre, però, è una musicista esecutrice di musica sacra e, così, Dan cresce immerso nei paradossi filosofici che il rapporto scienza/religione da sempre comporta.
Le teorie descritte nei libri di Dan Brown (soprattutto nel Codice da Vinci e in Angeli e Demoni) supportano teorie completamente rivoluzionarie rispetto ai fondamenti e ai precetti del mondo cristiano così come lo conosciamo. Da qui, nasce inevitabilmente una serie di diatribe sul contenuto e sulle idee illustrate in queste storie e, così, lo scrittore viene intervistato da radio e tv di tutto il mondo e i suoi libri vengono tradotti in oltre 50 lingue perché tutti lo vogliono leggere. Affrontate, se pur romanzate, tematiche scottanti, le conseguenti polemiche sono il primo problema che si trova a dover affrontare Dan Brown. Non solo. Deve anche vedersela anche lo snobismo dell’elite letteraria che, comunque vada, ha sempre voglia di andar contro libroni e numeroni (specie quando si tratta di vendite). Fatto sta che la gente i suoi libri li compera, li legge, quasi li divora e ne discute. Molto. E da queste scritture il mondo cattolico si sente attaccato, soprattutto molti degli esponenti dell’Opus Dei che lo attaccano a loro volta, accusandolo di far parte di un qualche gruppo filo massonico.
Il problema principale dell’opera di Dan Brown, secondo molti, sta nel fatto che sarebbero state inserite nei libri parecchie incongruenze storiche poi spacciate come vere (soprattutto nel Codice da Vinci) ma va sottolineato che lui ha sempre ricordato che le sue opere sono solo il frutto della sua fantasia, anche se ritiene (lo ha detto in alcune interviste) di aver attinto vari particolari storici da fonti attendibili. E così siamo di nuovo al punto di partenza. L’autore crea confusione e dà quanta più visibilità possibile a quello che scrive.
Di certo, Dan Brown ha capito come funziona il mondo editoriale – possiamo fargliene una colpa, soprattutto di questi tempi? – ma è innegabile che i suoi racconti siano appassionanti. Per non essere ossessionati dal dubbio di dove collocare la sua scrittura, credo che basti prendere i suoi romanzi per quello che sono: storie ben confezionate (prive di fondamenti religiosi certi) che offrono letture godibili.
Certo che Brown, però, ne combina proprio di tutti i colori. È stato anche accusato di plagio dagli storici Michael Baigent e Richard Leigh che ritengono Il Codice da Vinci la copia del loro libro Il mistero del Graal, edito nel 1982 insieme a un giornalista, Henry Lincoln. La storia è finita in tribunale e la Corte d’Appello di Londra ha decretato Brown non colpevole, imponendo ai due storici il pagamento di 2 milioni di sterline per le spese legali. Baigent, non contento, ha insistito nel dire che Dan Brown farebbe meglio a impiegare il suo tempo in modo diverso, invece di starsene attaccato al computer a setacciare i motori di ricerca per trovare i materiali per le sue storie. Comunque, Dan Brown è uno scrittore che si ama o si odia. Tanti hanno letto i suoi libri senza ritenersene soddisfatti, eppure hanno comprato anche i successivi, dato dimostrabile dagli enormi numeri di copie venduti a ogni pubblicazione. È anche vero che spesso il plot della storia, che sembra forte e potente, è in realtà più debole di quanto appaia. Lo scrittore gioca molto sugli effetti speciali, sui frammenti di interessanti riferimenti storici. Che siano veri o meno, in fondo, che cosa importa? La lettura non deve essere sempre e comunque ancorata alla verità. Se vogliamo la verità, prendiamo un saggio accreditato, magari scritto da uno storico accademico. Ma se quello che cerchiamo è il volo della fantasia, l’avventura – magari a tinte forti – l’immaginazione e il sogno, cosa c’è di male a immergersi tra le pagine di un “romanzone”? Leggere un libro di Dan Brown significa scegliere di fare una lettura “sportiva”, che assomiglia magari a una corsa spericolata su una fuoriserie elegante. E poi lui lavora molto sulla comunicazione. È un ottimo oratore e sa cosa dire per affascinare le persone. Sa che le storie a tinte fosche sull’antico rito scozzese della massoneria, sulle notizie pseudostoriche di natura religiosa, magari intrise di rivelazioni incredibili quanto inquietanti affascinano il pubblico e lo avvolgono nella coperta della curiosità e dell’avventura. Alla gente piace anche il dibattito tra politica e cultura e Dan Brown sa anche questo. Sembra che voglia spiegarci gli arcani delle umane questioni scrivendo dei libri, e la cosa incuriosisce, e ci incuriosisce. Vogliamo saperne di più, vogliamo addentrarci nel “sapere non convenzionale” e pensiamo di approfondire leggendo i suoi libri perché sono storici. Già, il romanzo storico. Quello che assillò Manzoni quando doveva decidersi tra “vero” e “verosimile”. È un dubbio che persiste ancora oggi. Come miscelare fatti reali e fatti immaginati per creare un buon romanzo che non sappia di falso storico, né di invenzione bella e buona?
Questo brillante scrittore americano ha scelto di confezionare libri in perfetto stile yankee, dove spesso il meccanismo principale è quello di farti entrare nel libro e coinvolgerti al punto di sentirti parte integrante di esso. Anche se va detto che il segreto del suo successo rimane un mistero. Dan Brown è capace di vendere libri anche alla gente che non legge, o legge poco, e molti penseranno che il nocciolo è proprio questo: proporre libri facili a gente che non mastica letteratura di alto livello. Io non ne sono convinta, perché conosco persone di notevole spessore intellettuale che leggono i suoi libri. Che vogliano divertirsi anche loro, qualche volta?
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