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Editoria a pagamento: pubblicare libri senza truffe? – parte 10

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Di Morgan Palmas

[Seguito parte 9]
Si citavano la scorsa volta questioni di natura giuridica e politica. Si legga anzitutto questo manifesto contro il contributo editoriale. Si veda, nei primi articoli, come uno dei nodi sia il rapporto fra aspetti giuridici e aspetti etici. 

La legge è chiara in tale senso, non vi è nessuna illegalità nel costituire e gestire una casa editrice a pagamento, infatti il fulcro non è giuridico, bensì politico. È la politica, cioè chi legifera, che dovrebbe, nel caso fosse opportuno, delimitare i territori, porre in essere regole che ostacolino l’impresa delle cloache editoriali. Qualcuno potrebbe inneggiare alla libertà del mercato, giusto, come confutarlo? Eppure ciò non significa, con buona pace degli editori a pagamento, che poiché la legge lo permette allora il discorso etico sia sistemato all’uopo.

L’art. 41 della Costituzione recita:

“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Vero che viviamo un’epoca in cui si mette in discussione tutto, in cui si interpreta la legge a proprio uso e consumo, ahi noi, eppure ci si chiede se sia rispettoso della dignità umana addossare le spese di una pubblicazione tutte sulle spalle dell’autore.
Ci si chiede se la legge non sia mancante quando un editore può sfruttare liberamente i rischi altrui invece che prendersi la responsabilità dei propri per fare impresa.
Ci si chiede se l’attività economica delle cloache editoriali contempli un fine sociale nel NON investire in prima persona ma delegando le conseguenze all’autore del prodotto editoriale.
Ci si chiede se abbia senso recarsi in un panificio e invece di sganciare due euro per un po’ di pane dire al panettiere: «Chiudi gli occhi, ti rubo cinque michette, tu intanto firma qui che te le ho rubate».

ETICA, questa parolina così vaga, eppure così importante. Etica delle attività economiche, in un paese in cui la furbizia domina. Il discorso si allarga notevolmente, investendo le tematiche della giustizia nella società. Un testo di filosofia politica dal quale non si può prescindere è “Una teoria della giustizia” di John Rawls e in esso, accanto a complessità numerose, si trova questa frase:

“Poiché la verità e la giustizia sono le virtù principali delle attività umane, 
esse non possono essere soggette a compromessi”.

Il compromesso delle cloache editoriali è di non dire il più delle volte la verità (sulla distribuzione del libro per esempio) e di non essere giuste (facendo pagare i rischi di impresa all’autore). L’informazione vera e l’attività economica giusta sono le basi ineludibili di una democrazia che voglia definirsi tale. Barare non è degno di una democrazia quando si parla di impresa.

I principi della giustizia in una società sembrano discorsi campati in aria, pedantemente astratti, al contrario investono la nostra quotidianità, terreno su cui qualcuno può o meno donarci libertà o non libertà, serietà o non serietà, merito o non merito. Altrimenti le regole possono essere cambiate all’ultimo momento (inutile che dica i fatti recenti di politica regionale), altrimenti chi ha il coltello dalla parte del manico può sempre abusare del proprio potere: i principi devono essere chiari e un principio che dovrebbe essere chiaro nel mondo editoriale è che se scommetti nel libro di un autore ti prendi una dannata responsabilità d’impresa, fino in fondo.

Vorrei riflettere ancora su questi argomenti, se avete la pazienza di seguirmi. A mercoledì.
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