"Senza corpo" a cura di Debora Pietrobono
Compito arduo, e talvolta ingrato, quello di mettere assieme un’antologia, di qualsiasi genere essa sia. Tanto più nel caso in cui si voglia dar conto delle nuove esperienze teatrali del nostro Paese. Negli ultimi anni, infatti, sono venuti alla ribalta, sui palcoscenici italiani, artisti contraddistinti da una cifra assolutamente innovativa, dalla coppia Spiro e Scimone a Emma Dante, da Ascanio Celestini a Marco Paolini. Trattasi di personalità diversissime, che mettono in campo un doppio “recupero”: letterario e sociale. Nel primo caso, magnificamente riesumando determinate istanze del teatro dell’assurdo; nel secondo riuscendo a individuare un modo di fare “teatro di denuncia” veramente, e opportunamente, calato nel contesto odierno.
Il volume, edito da Minimum Fax e curato da una professionista del teatro come Debora Pietrobono, collaboratrice, tra gli altri, del Teatro Furio Camillo e dell’Ente Teatrale Italiano, presenta otto testi che, per strana coincidenza o per sotterraneo e disgiunto indirizzo poetico?, espongono un’attenzione al sé attraverso la mediazione del corpo, sia esso veicolo di sofferenza, mezzo di redenzione o finanche oggetto per esperimenti. Non sarà inutile, dunque, spendere qualche parola di più per alcuni dei testi antologizzati.
Si comincia da Nati in casa, di Giuliana Musso e Massimo Somaglino, interessante riflessione sul parto: dai giorni nostri, rappresentati da una deliziosa voce “agente” che racconta le contrastanti emozioni delle ore precedenti l’evento, e poi l’arrivo in ospedale, all’interno del quale si consuma il passaggio della donna gravida attraverso una serie di “stazioni di controllo”; dal nascere oggi al nascere dei tempi andati. Nella seconda parte il testo fa spazio alla commistione italiano-dialetto e ad una più distesa poeticità attanziale, restituendoci un’opera nel complesso positiva e ricca di spunti, soprattutto “sociali”.
Con Ecce Robot! di Daniele Timpano si cambia completamente ritmo, ambientazione e stile di scrittura. Come afferma la stessa Pietrobono nella prefazione, si tratta della «ricostruzione storica di un’invasione: quella dei serial nipponici nei palinsesti televisivi pubblici e privati, e quella della televisione stessa «dentro le nostre teste»». Timpano ha buon gioco nel costruire un monologo a metà tra l’autobiografico e il documentaristico, particolarmente riuscito ed efficace proprio nell’accostamento delle due anime dell’opera.
Nta ll’aria di Tino Caspanello è probabilmente il testo più rappresentativo della raccolta: due uomini impegnati, su un balcone, a dipingere la parete di nero. Parlano, come Vladimiro ed Estragone in Aspettando Godot, del più e del meno, forse del nulla. A un certo punto arriva una donna che, tra una domanda e un’offerta, spezza il ritmo del loro tedio e li strappa a una dimensione quasi liminale, inducendo nella situazione rappresentata un clima di rilassatezza, di mollezza ma al contempo di festa e castissima “perdizione”.
Da ultimo, sembra opportuno segnalare Venticinquemila granelli di sabbia, di Alessandro Langiu. La storia è quella di un gruppo di palazzine, le palazzine Italia, costruite in un luogo il quale, più che la Puglia dei troppi veleni industriali, sembra una spianata colta nel post-apocalisse. In questo luogo, molto poco ameno, ma dalle venefiche suggestioni infinite, si muove un gruppo di ragazzini, procedono nella vita col loro incedere nervoso e sincopato, diventando sempre più grandi e imparando, giorno dopo giorno, morte dopo morte, di essere in qualche modo condannati.
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