Intervista ad Angelo Biasella - editor NEO
Autore: Morgan PalmasMer, 17/02/2010 - 11:34
Di Morgan Palmas
Buongiorno, vorrei anzitutto chiederle qual è stato il percorso professionale che l’ha portata a divenire editor in una casa editrice.
Iniziamo col dire che ho sempre letto tanto. Poi, dopo essermi laureato in Scienze politiche a Bologna, sono tornato in Abruzzo dove ho scritto per qualche anno su un giornale del gruppo Espresso. Per un mensile, invece, oltre ad occuparmi di inchieste, curavo una mia rubrica in cui stilavo qualche recensione letteraria. Una volta presa la tessera di giornalista, ho capito che non era quello che volevo realmente fare e mi sono licenziato nel giro di pochi giorni. Ho frequentato, quindi, un corso di editing in una nota casa editrice romana, dopodiché mi sono detto che era venuto il momento giusto di provare. La Neo Edizioni è frutto di quella decisione. Sono editor della casa editrice ma anche editore, in tandem col mio socio e cugino Francesco Coscioni. Fondamentalmente lui si occupa della parte commerciale ed io di quella editoriale ma siamo abbastanza interscambiabili nei ruoli, specie quando si tratta di andare alle Poste per spedire tonnellate di libri…
Esistono un percorso standard o canali privilegiati oppure ritiene che vi siano più possibilità per diventare un editor?
Non credo che esistano percorsi prefigurati. Ho conosciuto editor che venivano da una formazione umanistica, altri che avevano studiato ingegneria o matematica, altri ancora che non erano nemmeno laureati. Ognuno di loro aveva i propri gusti, la propria visione della letteratura ed ognuno di loro era talmente convinto del fatto suo da riuscire a coinvolgerti e a rendere il suo punto di vista affascinante e totalmente condivisibile. Credo che la sola cosa irrinunciabile sia la passione per la lettura. Tutto il resto sono contingenze che, onestamente, sfuggono ad ogni tentativo di inquadramento.
Come è in concreto la sua giornata lavorativa? Quali sono le sue specificità imprescindibili?
Mi sveglio intorno alle nove, faccio colazione intingendo una decina di Ringo nel latte bianco :), poi vado in sede. In genere, la mattina la dedico alla lettura dei manoscritti; il pomeriggio, invece, lavoro di editing sui testi che abbiamo già deciso di pubblicare. In mezzo a questo, mi ritaglio qualche lembo di tempo per fare un po’ di scouting in rete o leggendo qualche rivista di settore. Stacco verso l’ora di cena. La sera, quando non esco a farmi una birra, la tengo per me, per leggere i libri che mi va di leggere e che esulano dalle questioni prettamente lavorative.
Come editor mi ritengo poco invasivo. Cerco di intervenire il meno possibile sui testi che seleziono. Sono dell’idea che l’autore sia l’unico depositario legittimo del proprio stile e che, per quanto io possa sforzarmi di far mio il suo registro letterario, l’autore avrà sempre diritto di prelazione nell’interpretare, al meglio, se stesso. Per questa mia forma di rispetto verso l’opera e l’autore specifici, devo essere estremamente selettivo alla base. Insomma, per non incorrere nella tentazione di manomettere un intero manoscritto devo lavorare su una materia prima di qualità. Chiaro che là dove ritengo che ci sia da intervenire… intervengo, ma lo faccio sempre in accordo con l’autore e, spesse volte, dopo lunghe ed estenuanti contrattazioni. Sono convinto che ogni pubblicazione sia il prodotto di un compromesso accettabile sia per me che per l’autore.
Nel mondo editoriale vede più merito rispetto al “sistema” Italia o reputa invece che il pensiero comune dell’amata raccomandazione sia purtroppo la via più comune? Quali percentuali fra le due?
Questa domanda si presta ad un paio di interpretazioni. Per quanto riguarda il mio lavoro di editor, non saprei dire. Io sono l’editor di una casa editrice che ho fondato. Diciamo che, secondo me, ero il miglior aspirante sulla piazza e avevo tutte le carte in regola per sbaragliare una concorrenza inesistente. A parte gli scherzi, da quello che ho potuto appurare parlando con i colleghi, è difficile credere che quello di editor sia un posto di lavoro soggetto a raccomandazioni. È un lavoro delicato e c’è bisogno di tanta perizia e professionalità. Penso che una ventina di refusi in una pubblicazione che hai autorizzato siano sufficienti per farti licenziare da qualsiasi casa editrice, anche se eri stato raccomandato dal padre eterno in persona. Credo davvero che sia un ruolo in cui la meritocrazia ancora batte cassa.
Se, invece, vediamo la domanda dal punto di vista degli autori esordienti, posso dire che una raccomandazione può aiutare ad accorciare i tempi di lettura ma non garantisce, di certo, la pubblicazione. In questa accezione, però, non parlerei di “raccomandazione” quanto piuttosto di “segnalazione”. Sarei ipocrita a non ammettere che leggo prima un manoscritto che mi è stato segnalato da uno scrittore che stimo o da un giornalista che seguo o da un agente letterario che conosce il nostro lavoro. E lo faccio perché alla base di quella “segnalazione”, evidentemente, c’è già stata una prima selezione. C’è stato un filtro che mi garantisce, almeno in potenza, la validità dell’opera. Forse non è elegante ammetterlo ma è così che vanno le cose.
Se crede nel merito, quali sono le sue azioni quotidiane per favorirlo?
Cerco di lavorare e di crescere professionalmente. Oltre a questo cerco di nutrire la mia curiosità e non lo faccio solo leggendo libri. Mi informo, mi documento, guardo molti film, vedo la televisione, leggo tanti fumetti. Cerco di capire cosa piace alla gente. Il segreto, secondo me, è quello di non chiudersi in libreria ma di vivere nel mondo. Mi piacciono le bettole e non disdegno passarci del tempo. I miei migliori amici sono idraulici, camerieri, assicuratori, cuochi, operai e con loro non parlo mai di letteratura. Devo assaggiare la vita vera per poi essere in grado di riconoscerla in un libro.
Che cosa stima in uno scrittore esordiente e che cosa invece detesta?
Apprezzo la voglia di mettersi in gioco, gli sguardi sbiechi, l’originalità dello stile, la capacità di osare, la sincerità assoluta, una certa dose di arroganza (se giustificata da qualità narrative oggettive).
Non apprezzo gli autori ombelicali, gli esaltati, chi edulcora per paura dei giudizi, chi NON usa il diario solo per prendere appunti, chi scrive 200 pagine in un mese, chi dice “Scrivo perché ne ho bisogno” e fa della letteratura un bisogno fisiologico qualunque; non apprezzo le poesie “sole, cuore, amore” e non apprezzo chi, totalmente avulso dal mondo che lo circonda, crede che venti pagine di cazzatelle introspettive siano il capolavoro letterario del nuovo millennio.
Quali sono le qualità della sua casa editrice e le prospettive?
Come scritto nella nostra linea editoriale, la Neo Edizioni propone e si propone testi caustici, sarcastici, turbativi, ironici, concettualmente forti e scomodi, deliranti nel contenuto ma non nella forma, capaci di insinuarsi nell’epidermide della cultura e della società attraverso sguardi inattesi, poco considerati. Nonostante i nostri gusti siano piuttosto forti, manteniamo una certa predilezione per la buona scrittura. Cerchiamo, quindi, autori capaci di sperimentare, di non porsi limiti, di scardinare ogni regola imposta dominando, però, sempre e comunque, lo strumento narrativo.
Ci piace ogni estremo a patto che abbia piena coscienza di sé. In definitiva, si può dire tutto dei nostri titoli ma non che non abbiano carattere.
Detto questo, non crediamo assolutamente che la nostra sia una missione. Vediamo il nostro lavoro come una passione e, insieme, un bellissimo gioco. La prospettiva è quella di pubblicare dei long seller che, magari, lambiscano i limiti delle classifiche. Preferiamo quelli alla filosofia fagocitante del best seller. Cerchiamo, quindi, di pubblicare libri che non siano soggetti a mode del momento e che, almeno in teoria, siano capaci di durare nel tempo.
Che cosa pensa delle case editrici a pagamento?
Semplicemente non ne vedo l’utilità. Ci sono tanti bravi tipografi in giro. Perché farsi spellare a quel modo da un sedicente editore che non investe niente di suo, che non promuove e che non distribuisce il tuo libro? Ci sono tanti modi creativi di sperperare denaro; quello, onestamente, mi sembra il meno divertente.
Un consiglio a chi vorrebbe intraprendere l’attività di editor.
Formarsi un gusto personale è imprescindibile. Un editor, specie se di una piccola casa editrice, deve specializzarsi. L’obiettivo, a mio modo di vedere, è instaurare un tacito accordo coi tuoi lettori. Tu ti impegni a soddisfare le loro aspettative; loro, in linea di massima, sanno già cosa gli proporrai e si affezionano alle tue scelte (questo, chiaramente, nel migliore dei mondi possibili.)
Per quanto riguarda il lavoro sui testi, esistono tecniche per snellire la correzione di bozze, per lavorare sulla coerenza narrativa, per evirare il manoscritto di interi capitoli senza andare a scalfire il plot originario… la verità è che tutto si riduce ai gusti e alla sensibilità dell’editor. Un manoscritto che non piace all’editor che ce l’ha sotto mano non verrà mai pubblicato. Quindi, un consiglio che potrei dare agli aspiranti editor è quello di non fermarsi all’apparenza. Un congiuntivo sbagliato non merita la pena capitale. Aggiustare le virgole, rivedere la forma, cambiare qualche finale è una cosa che metto in conto e che non mi spaventa. L’importante, secondo me, è riuscire a capire se un manoscritto abbia un’anima o meno e, qualora ce l’abbia, se quell’anima possa incontrare i miei gusti e quelli dei lettori che penso si siano già affezionati ai libri che proponiamo.
Altra cosa importante: non prendersi mai troppo sul serio ed abbracciare la filosofia del pensiero debole. Non abbiamo verità assolute e non siamo infallibili. Un manoscritto scartato l’anno scorso, è facile che me lo ritrovi in classifica, oggi, con un marchio diverso dal mio. Non mi uccido per questo. Ho delle preferenze in fatto di letteratura, delle preferenze ben definite e tutt’altro che accomodanti. Faccio in modo, quindi, che le mie scelte vadano, sempre e comunque, in quella direzione. In questo senso, più che un editor, mi sento un pusher di emozioni forti. E così vado avanti…
La ringrazio e buon lavoro.
Augh!
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