Intervista ad Andrea Canzanella - redattore Rizzoli
Autore: Morgan PalmasGio, 11/02/2010 - 11:44
Di Morgan Palmas
Buongiorno, vorrei anzitutto chiederle qual è stato il percorso professionale che l’ha portata a divenire redattore in una casa editrice.
Ho conseguito la laurea specialistica in Teoria e Tecniche della Comunicazione Mediale – con indirizzo editoriale – presso l’Università Cattolica di Milano, coltivando il desiderio di “lavorare nell’editoria”. Ovviamente, l’Università italiana non aiuta molto uno studente a chiarirsi le idee sulle proprie nebulose aspirazioni. Pochi mesi dopo la laurea, ho risposto a un annuncio di stage che compariva sul sito dell’Università, per una posizione nell’ufficio stampa Rizzoli; poi, durante il colloquio, risultò chiaro sia a me sia all’esaminatrice che ero decisamente più tagliato per un incarico di tipo redazionale. Fortunatamente c’era una posizione di stage libera anche nella redazione della Narrativa Italiana e, dopo un anno di prova, sono entrato a tutti gli effetti nell’organico.
Esistono un percorso standard o canali privilegiati oppure ritiene che vi siano più possibilità per diventare un redattore?
Sicuramente ci sono dei master che vengono più seguiti e tenuti da conto – penso al Master in Editoria Cartacea e Multimediale dell’Università di Bologna, o a quello della Fondazione Mondadori – e le esperienze preacquisite in ambito editoriale, magari non per forza in redazione, possono essere un fattore importante sulla bilancia. Ma poi la vera scuola si fa sul campo, avendo la fortuna di lavorare sui testi con persone di esperienza e disponibili a trasmettere le conoscenze, cosa per nulla scontata. Personalmente, la migliore palestra è stata affiancare un’auctoritas come Rosaria Carpinelli – insieme a colleghi più esperti – nella cura romanzo postumo di Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege.
Soprattutto all’inizio è fondamentale l’entusiasmo, la motivazione, la disponibilità al lavoro “irregolare” perché si è sempre all’inseguimento degli autori e dei testi che non arrivano mai quando dovrebbero, e da questo ritardo iniziale parte sempre una rincorsa che si conclude generalmente a fil di sirena. Ma sono sacrifici che vengono naturali, se il lavoro viene fatto con passione.
Com’è in concreto la sua giornata lavorativa? Quali sono le sue specificità imprescindibili?
Le giornate lavorative, i ritmi, variano molto a seconda che si stia seguendo personalmente o meno un testo che deve essere consegnato per la stampa. Se sì, la quasi totalità del tempo è assorbito dalle successive fasi “canoniche” di editing, redazione e correzione di bozze. Viceversa, aumenta il tempo a disposizione per occuparmi dell’aggiornamento dei contenuti di un sito del gruppo Rizzoli, per confrontarmi con i colleghi su alcuni dattiloscritti inediti inviati in lettura, per dare loro una mano sui testi che stanno curando o nella preparazione dei materiali di presentazione ai librai.
Nel mondo editoriale vede più merito rispetto al “sistema” Italia o reputa invece che il pensiero comune dell’amata raccomandazione sia purtroppo la via più comune? Quale percentuale fra le due?
Non essendo certo un veterano, non vorrei sbilanciarmi nel giudizio: credo che, come in tutti gli ambiti, la raccomandazione possa servire per essere introdotto nell’ambiente, ma che l’eventuale “ascesa” sia poi dettata dalle capacità, dalle idee, dalla determinazione. E penso sia molto difficile che una raccomandazione possa condurre a un posto fisso: quello, in editoria, resta un miraggio. Dovendo far riferimento a una percentuale, direi 70 merito e 30 raccomandazione. Vorrei però far presente un punto di riflessione. L’editoria è un mondo tutto sommato piccolo, fatto di contatti, di relazioni, di “conoscenze” intese nel senso “non doloso” del termine: è chiaro che la capacità di tessere un network ampio aumenta le possibilità di proporsi, di farsi conoscere… anche per chi non parte da una posizione di privilegio. Dopodiché il lavoro chiama lavoro.
Se crede nel merito, quali sono le sue azioni quotidiane per favorirlo?
In parte ho già risposto alla domanda. Le azioni quotidiane sono la curiosità, mantenere vivi e fertili tutti i contatti disponibili: in primis con gli autori, ma poi con i superiori, con i colleghi, con le persone che ho la possibilità di avvicinare attraverso piccole occasioni come per esempio la cura del sito. L’altra direzione dell’impegno è rivolta invece alla cura dei testi, ad affinare la sensibilità, la capacità critica e perché no, l’occhio a tutti gli aspetti importanti nell’impaginazione, dalla ricerca del refuso in su.
Che cosa stima in uno scrittore esordiente e cosa invece detesta?
Detesto la tendenza a guardarsi l’ombelico e a raccontare cosa c’è nella cesta dei panni, oltre che – ma in misura minore, perché talvolta può essere inconsapevole – quella a realizzare un puro calco dei modelli di riferimento. Apprezzo invece la capacità di raccontare una storia che nello stesso tempo sappia dire anche qualcosa di un’epoca, di una città, di un Paese; e quella di costruire un mondo narrativo in cui tutto tiene, che sia alimentato di dettagli, nei quali i personaggi si muovono spinti da motivazioni convincenti e umane, non perché il romanzo deve continuare.
Quali sono le qualità di Rizzoli e quali le sue prospettive?
Rizzoli è un marchio che non ha bisogno di presentazioni né che citi frettolosamente gli autori che hanno fatto la storia della casa editrice e della letteratura degli ultimi sessant’anni. Le prospettive della Narrativa Italiana bisognerebbe chiederle al nostro editor, Michele Rossi, ma credo di non sbagliare se dico che l’obiettivo è quello di consolidare e aumentare il successo degli autori di punta e insieme fare ricerca, trovare voci nuove che sappiano raccontare il nostro tempo.
Che cosa pensa delle case editrici a pagamento?
Fino a prova contraria, non ne penso affatto bene.
Le case editrici a pagamento sono quasi sempre piccole o piccolissime realtà editoriali; essendo piccole o piccolissime, non hanno la possibilità materiale di distribuire il libro, di inviarlo nelle librerie, quindi di metterlo non dico in mano, ma almeno agli occhi del potenziale lettore. E allora a che serve la pubblicazione? Per portare il libro in conto vendita nella libreria sotto casa, che comunque preferirà esporre il bestseller e nascondere il mio sotto il registratore di cassa? E ancora: perché un editore a pagamento dovrebbe negare la pubblicazione a qualcuno? Dove va a finire la “garanzia” di qualità di un editore che non si gioca ogni giorno la faccia? Ci tengo a precisare che parlo a duplice ragion veduta, avendo pubblicato a pagamento una decina d’anni fa e trovandomi ora con qualche conoscenza del settore in più, e che non ho nulla di personale contro chi sceglie di pubblicare a pagamento: ognuno è libero di investire i propri soldi come meglio crede e anche la soddisfazione di poter dire: “Ho pubblicato un libro” può essere una ragion sufficiente a farlo. Però questa non è editoria, è un’altra cosa.
Un consiglio a chi vorrebbe intraprendere l’attività di redattore.
Leggere i classici, leggere i contemporanei, leggere di tutto, per quanto possa sembrare banale. Ascoltare musica, guardare film e fiction, andare a teatro, girare in libreria: cercare di mettere a punto una propria sensibilità al testo. E poi stare attento alle occasioni, anche quelle che sembrano piccole, proporsi per quei lavori che, tra i tanti della “cucina editoriale” possono sembrare poco stimolanti, e non aver paura di portare idee. Sono ancora convinto che la qualità del lavoro sia la migliore possibilità che ci sia data.
La ringrazio e buon lavoro.
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