Editori a pagamento: pubblicare libri senza truffe? – parte 6
Autore: Morgan PalmasGio, 25/02/2010 - 12:30
Di Morgan Palmas
Negli articoli 0 1 2 3 4 5 ho cercato di mettere a fuoco alcuni elementi che possano servire a inquadrare il contesto, anzitutto per distinguere il print on demand dall’editoria a pagamento.
Inizierò oggi a parlarvi di quest’ultima, avendo però sempre bene in mente che le commistioni, come già vi dicevo, non sono una rarità.
L’editore a pagamento, contrariamente all’editoria tradizionale che punta sulle vendite per i profitti, annulla il rischio d’impresa facendosi sostenere dall’autore. Non serve la pubblicità del libro, non è importante ai fini del guadagno, o almeno non lo è all’inizio, perché i costi della stampa sono coperti da chi sborsa denaro per vedersi pubblicato.
Vi sono due aspetti da considerare: la visione di chi aspira alla pubblicazione e quella dell’imprenditore.
L’autore
L’autore accetta di pagare per diversi motivi, impossibile liquidare l’argomento con una singola definizione.
C’è chi, esasperato da inutili invii di un manoscritto, decide di investire soldi per una pubblicazione certa; c’è chi non ha ambizioni particolari e quindi pensa che un contratto a pagamento sia contemplabile (perché allora non pensare al print on demand?); c’è chi, sprovvisto di informazioni (pigrizia intellettuale? grossolanità?), crede che pagare per una pubblicazione sia la normalità; c’è chi ha scritto una raccolta di poesie e, sapendo che tale mercato è in crisi di vendite costante, sceglie di pagare; c’è chi è contro l’editoria a pagamento, magari è informato, ma di fronte a un contratto e alla possibilità concreta di pubblicazione pensa: ‘Inizio così, magari poi si aprono altre strade…’.
Ecco, soffermatevi su quest’ultima scelta. È condannabile? Certamente no. In un paese come il nostro, nel quale turarsi il naso non soltanto nel voto è spesso la norma, è comprensibile che un esordiente possa decidere di cominciare la propria “carriera” letteraria attraverso l’editoria a pagamento. Conosco quasi una decina di casi di scrittori che hanno iniziato pagando un contratto e ora sono pubblicati da case editrici medie e grandi. Non solo. Alcuni di loro, grazie a quella prima esperienza, hanno poi costruito (intraprendenza? fortuna?) una rete di relazioni che ha portato un impiego nell’editoria (in un caso anche nella grande editoria). Non posso tuttavia celare che gli stessi hanno parallelamente conseguito lauree, frequentato master e corsi di specializzazione, indirizzando i percorsi verso il mondo editoriale. Quelle prime pubblicazioni a pagamento sono state inutili? Non lo credo, penso invece che in un curriculum possa avere un significato se argomentato con preparazione e professionalità.
Possibile domanda in un colloquio: «Vedo che ha pubblicato un romanzo con la casa editrice X, ma non è a pagamento?».
Risposta: «Certo, è a pagamento. Feci una scelta forse sbagliata, ma ciò mi permise di conoscere una realtà che mi era estranea e quindi di approfondire alcune tematiche dell’editoria».
Dall’altro lato, vi sono migliaia di persone che, spinte da narcisismo e/o da obiettivi, sborsano quantità di denaro incredibili per pubblicare le proprie opere, indipendentemente dalla qualità delle medesime. Sono condannabili? Sono persone stupide? No alla prima, no pure alla seconda. Sono scelte. Punto.
L’editore a pagamento
La Vanity Press, analizzata dal punto di vista imprenditoriale, è un business sicuro e proficuo, zero rischi, soltanto guadagni, ditemi se una persona con il fiuto del denaro e un po’ cinica non trova nell’editoria a pagamento un modo intelligente di fare affari. È comprensibilissimo. Lasciate da parte per un momento l’etica, concentratevi sul guadagno. Chiaro che nessuno potrebbe avere il coraggio di definire una casa editrice a pagamento ingenua.
Ricevo un manoscritto, fa schifo o è interessante? Chi ne se frega, non lo leggo, invio dopo un paio di settimane il contratto, pronuncio lodi come le seguenti:
“Abbiamo letto con interesse la Sua Opera e dopo esserci consultati con attenzione si è convenuto di contattarla quanto prima per proporle un contratto con la nostra casa editrice. Vi sono elementi migliorabili, eppure l’originalità espressa nonché l’idea portante non potevano non essere da noi considerate come punto di partenza per un possibile accordo di pubblicazione”.
Si stuzzica la vanità dell’autore, gli si presenta le condizioni del contratto e si persuade chi legge affinché la cifra proposta sia conveniente, opportuna, accettabile.
Su 1000 proposte quanti firmeranno? 10, 50, 100, 500? Soldi sicuri, nessun rischio d’impresa.
È giusto tutto questo?
Ne parlerò sabato.
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