Robert Walser: la vita è una passeggiata
Autore: Paolo MelissiMer, 20/01/2010 - 11:11
Di Paolo Melissi
Carl Seeling, autore di Passeggiate con Robert Walser, e W. G. Sebald in Il passeggiatore solitario, ci restituiscono un profilo dello scrittore svizzero in cui la cifra costitutiva della personalità sembra essere la “sospensione” e il “distanziamento”.
Walser non ebbe mai una residenza stabile, né era in possesso di arredi e oggetti personali, e mai nemmeno libri, di solito presi in prestito. Né mantenne i rapporti con i suoi due fratelli. Non avrebbe lasciato traccia di sé, fatta eccezione per la sua produzione letteraria, se non fosse stato al suo fianco Carl Seeling, suo tutore e compagno di viaggio. Perché camminare fu per Walser una dimensione parallela alla scrittura, e omologa: in entrambe si immerse sempre con dedizione contraria a ogni altra sua azione.
Lo scrittore camminò sempre, fino alla fine, lungo strade e viottoli del suo paese, di giorno e di notte, in lunghe marce. Percorse nel 1925 il sentiero che i pellegrini percorrevano lungo il cammino che porta a Santiago de Compostela per andare da Berna a Ginevra. Una volta andò da Thun a Berna. E continuò a concedersi lunghe passeggiate anche quando fu internato nella Clinica e Casa di cura cantonale di Appenzell-Ausserrhoden, dove gli fu concesso di uscire e assentarsi per poter compiere le sue escursioni. Da una di queste non tornò mai più: fu trovato morto nella neve, la mattina di Natale 1956.
L'incipit del suo libro più famoso, La passeggiata (1917), è emblematico:
Una mattina, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada.
Subito dopo, l'io narrante/Walser si dice “in una disposizione d'animo avventurosa e romantica, che mi rese felice”.
In poche righe è delineato il rapporto dello scrittore e con il camminare e con lo scrivere: passa dallo scrittoio alla strada, e muovere passi uno davanti all'altro è approccio a uno stato d'animo positivo, che spazza via “mestizia, dolore e tutti i pensieri cupi”. Così gli vengono incontro persone e cose, piccoli particolari, ognuno degno di nota, tutto anticipato da “un'attesa gioiosa”: il professor Meili, una libreria, un rigattiere, un cane che si disseta a una fontana, una o due signore dalle gonne sbalorditivamente corte. La passeggiata prosegue, il cammino porta più lontano Walser, che passa da un pranzo abbondante ai favori di un sarto, fino ai campi e all'erba di piccole frazioni dell'Oberland bernese, immerso in riflessioni dotte, assorbito dalla visione in movimento del paesaggio, dei viandanti, di case e cani, fino al cadere della sera.
In poche pagine c'è la vita di Walser: la smania di camminare, quel bisogno insopprimibile ed equilibratore di deambulazione strettamente unito a quello della visione. I passi di Walser guardano. È un uomo che vede incessantemente, tutto registrando, sondando, esplorando. E dalla Passeggiata emerge l'attenzione estrema per l'infraordinario, per ciò che accade nel momento, per l'infinitamente piccolo registrato nel suo momento di eternità. E tutto si ammanta di stuporosa bellezza.
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