Satyricon: un protagonista d'eccezione nel "romanzo" petroniano
Autore: Adriana PediciniLun, 14/12/2009 - 11:40
Di Adriana Pedicini
TRIMALCIONE
Alcune sequenze della cena
La descrizione della famosa Cena Trimalchionis occupa ben 51 capitoli del Satyricon e costituisce per noi lettori moderni l'episodio principale e più gustoso del "romanzo" petroniano. Infatti a chi legga per la prima volta Petronio sembra che l'Autore narri per divertire. E a dire la verità, i lettori molto si divertono nell'ascoltare quasi visivamente le sequenze dell'originalissimo banchetto, sempre in bilico tra ostentazione di ricchezza e bassezza di modi; ancora una volta l'Autore, che non sembra aderire spiritualmente alle volgarità che sono descritte nel suo "romanzo", riesce perfettamente ad attirare l'attenzione su una realtà brulicante di furfanti e bricconi che fa da contorno ad un personaggio non certamente raffinato, qual è appunto il protagonista Trimalcione. Ma ripensando a quello che leggono, tutti hanno la possibilità di captare la tragica sostanza umana del protagonista, la pensosità profonda che traspare da ogni battuta, da ogni episodio.
Innanzitutto è possibile riflettere sulla nobiltà d'animo che si nutre di ben altri valori che non le ricchezze; anzi spesso, in un animo non ben temprato e formato, le stesse ricchezze rischiano di attutire la sensibilità verso il senso dell'onestà e della correttezza e dell'impegno di vita. Inoltre appare in tutta la sua evidenza la tragicommedia della vita, fatta di ansie, di fremiti, di cupe tristezze, così come di situazioni a volte grottesche e assurde. Insomma il riso prima, la riflessione poi, orientano la sensibilità dei lettori verso la ricerca di ciò che è bello e delicato, insomma del buon gusto, qualità che era propria di Petronio, arbiter elegantiarum.
L'azione è ambientata in una Graeca urbs, una città italica piena di mercanti e di liberti greco-asiatici, verosimilmente Pozzuoli.
Encolpio e Gitone, i protagonisti del Satyricon, partecipano a un sontuosissimo banchetto nella casa dell'ex-schiavo Trimalcione.
La raffigurazione del banchetto ci offre un ricco campionario di tipi umani e di mirabolanti trovate.
L'obiettivo è puntato principalmente su Trimalcione, ex-schiavo siriaco, paradigma del parvenu milionario che vuol recitare la parte del signore e che immancabilmente si dimostra inelegante e pacchiano.
Lo stravagante ingresso nella sala da pranzo denota nell’ostentata esibizione della sua ricchezza la trivialità del personaggio. Triviale e tragico al tempo stesso. Un’idea che gli si affaccia spesso alla mente è quella della morte, al punto che decide di leggere pubblicamente il suo testamento, impartisce ordini al marmista circa la sua costruenda tomba, imponente e con sculture, sceglie il liberto che dovrà sorvegliarla e infine detta l’iscrizione da apporre su di essa.
Ma tutti i colloqui e i gesti dei convitati ci rivelano una società in crisi: i valori ideali e autenticamente umani sembrano spariti senza lasciare traccia, e l'unica divinità superstite è la potenza economica, considerata come esclusivo parametro di valutazione. Le conversazioni costituiscono un vero e proprio spaccato di vita. Gli argomenti sono i più disparati: si passa dalle condizioni del tempo alla commemorazione di un conoscente da poco defunto, al malgoverno, a fatti privati. Per quanto riguarda questi ultimi, nella Cena vi è un’inserzione di novelle secondarie rispetto alla trama principale, tutte strabilianti, come quelle raccontate dal protagonista e presentate come fatti capitatigli veramente. Possiamo citare la novella del manichino di paglia: una storia di stregoneria, da cui emerge che l’ambiente dei convitati è in fondo quella di una cultura popolare, fatto di credenze superstiziose e animato da riti magici e stregonerie.
Anche il linguaggio nella Cena è da bassifondi. Abbiamo volgarismi di pronuncia (Copones), i generi sono confusi, abbondano gli errori di declinazione, c'è una grande confusione tra verbi attivi e deponenti. Inoltre il lessico è vigoroso, grossolano, costellato di ibridi greco-romani. Qualche esempio: topanta chiaramente derivato dal greco ta panta, in gergo italiano factotum riferito a persona che si occupa di tutto, spesso al posto di un'altra.
Evidente, per quanto riguarda le abitudini alimentari, il contrasto la semplicità dei mores maiorum e il lusso dei tempi di cui ci parla Petronio: pietanze esotiche, complesse, preparate in modo da sbigottire i convitati con sorprese burlesche.
Plauto (Poen.54) riferendosi ai costumi dei Romani primitivi invece parla di “patruos pultiphagonides”. Alla puls (polenta) si aggiungevano altri alimenti comuni, specie i legumi. Raro il consumo della carne.
Plinio il Vecchio (N.Historia XVIII,83) afferma: “pulte, non pane vixisse longo tempore Romanos”.
Negli ultimi secoli della repubblica e poi durante l’impero, per imitazione greca e per l’affluire a Roma di prodotti raffinati dall’Oriente, la mensa dei ricchi si ampliò di piatti di ogni tipo, riunendosi nel tardo pomeriggio gli amici a banchetto, spesso fino a notte inoltrata, non solo per godere di cibi raffinati, ma per conversare e assistere a spettacoli e pubbliche letture.
Columella (De agricultura XI,I,19) e Catone Uticense (Plutarco, Cato Maior,56) ci forniscono notizie sull’abitudine di mangiare seduti. Sui triclinia invece erano distesi i convitati durante i ricchi banchetti (Petronio). Inoltre il precetto ovidiano (Ars Amat. III, 755): “carpe cibos digitis” ci conferma un’abitudine che spiega perché prima e durante la cena si facessero varie abluzioni.
Il pranzo si divideva in gustatio, cena e secundae mensae. L’unica parte del pranzo conservata presso la povera gente era la cena (Marziale, 48, 13). I dieci libri De re coquinaria di Apicio ci introducono nei segreti della cucina.
Un pranzo divertente ma di buon gusto fu quello offerto da Cocceio ad Orazio nel viaggio verso Brindisi (Orazio, Sat.I, 5) o a casa del ricco Nasidieno (Orazio, Sat. II,8).
Il Satyricon nel linguaggio cinematografico ricrea mirabilmente elementi petroniani grazie alla sensibilità artistica di Federico Fellini, che nel 1969 diede appunto vita al suo celeberrimo film.
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