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Intervista a Michele Monina

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Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Ho cominciato a scrivere intorno al 1994 e non credo sia stato un caso (a essere onesti non so esattamente cosa sia il caso, e quindi non so se crederci). Ho cominciato quando ho smesso di suonare. Qui, sicuramente, c'è un passaggio logico. Per anni, diciamo praticamente da che sono in grado di intendere e volere, sono stato convinto che nella vita avrei scritto canzoni. Poi ho capito che non era il mio mestiere, per diversi motivi. Primo, ai tempi, per suonare, era praticamente necessario avere a che fare con altre persone, i musicisti che suonavano con me, che accompagnavano le mie canzoni. Io, però, sono sempre stato uno spirito anarchico e anche uno spirito autarchico, quindi ho deciso che avrei scritto, ma lo avrei fatto da solo. Il fatto curioso è che, proprio da che ho cominciato a scrivere professionalmente, cioè da che ho trasformato quella che era una passione in un lavoro, mi sono ritrovato a scrivere diversi libri con altre persone, spesso con dei cantanti. Ho collaborato due volte con Giuseppe Genna e una con Ferruccio Parazzoli, che sono scrittori di libri, ma poi ho anche co-firmato libri con Cristina Donà, Mondo Marcio e Caparezza, che invece sono cantanti, e proprio con il mondo della musica ho sempre più spesso avuto a che fare, diventando prima critico musicale e poi collaborando con diversi cantanti, compresi alcuni di quelli citati, ai loro lavori. Tornando però a quel 1994, anche la data, credo, sia servita molto a farmi decide di iniziare a scrivere narrativa e saggistica, abbandonando, almeno momentaneamente, al forma canzone.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

Sono molto razionale nell'affrontare il mio lavoro. Nel senso che, essendo la scrittura la mia fonte di sostentamento, non posso permettermi di farmi assoggettare da quella che siamo soliti chiamare ispirazione. Quindi scrivo con metodo, arrivando a stabilire quante battute dovrò completare ogni giorno. Ma dal momento in cui mi siedo davanti al pc entro come in catalessi, cominciando a scrivere senza seguire una scaletta o un ragionamento e lasciandomi trascinare dalle parole. Quindi direi di trovarmi esattamente a metà strada. O, più che altro, di correre in continuazione da un estremo all'altro.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un'ispirazione? Ce ne parli.


Ho praticamente già risposto alla domanda. Io scrivo praticamente tutti i giorni dell'anno. Credo che, nel 2009, mi sono preso delle pause solo in concomitanza con dei viaggi di lavoro e il giorno del compleanno di mia figlia, per fare un esempio concreto. Scrivo ogni giorno e, salvo rarissime eccezioni, alla fine della giornata mi ritrovo in mano quello che mi ero prefissato. Detto questo, occupandomi prevalentemente di saggistica pop, sono solito scrivere tanto perché pubblico tanto, essendo questo un mercato con logiche differenti, per dire, da quello della narrativa, che prevede una pubblicazione ogni anno al massimo. Il caos, come dicevo in precedenza, è parte del mio metodo di scrittura, perché non ho mai scritto una pagina che avessi in precedenza programmato con una scaletta. Di qui a parlare di ispirazione, però, ce ne corre. Non credo che esista l'ispirazione in quanto spinta creativa che arriva da un posto imprecisato. Credo, invece, esista il talento e il mestiere.

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?


Non posso fare a meno del computer, questo è certo. Quando, soprattutto in viaggio, mi capita di appuntare qualcosa in una delle tante moleskine che ho con me, so già che non userò mai neanche una riga di quanto vado scrivendo in un mio libro. Troppo diverso il modo di scrivere a mano rispetto a quello che ho quando sono alla tastiera. E troppo faticoso ricopiare quelle parole. Detto questo, non ho particolari feticci, né manie o rituali. Spesso, quasi sempre, ascolto musica, ma del resto lo faccio anche quando mangio, quando sbrigo lavori in casa, quando guido. Ascolto musica sempre.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?


Come ho detto, non ho cominciato a scrivere perché mi sentivo un predestinato, quindi ho, nei confronti dei grandi scrittori del passato un rapporto prevalentemente scolastico. Li ho studiati e letti ai tempi delle superiori, ma non mi è più capitato di tornarci sopra. Ho, invece, un debito profondo nei confronti di molti scrittori del secondo Novecento, molti dei quali sono morti quando io già stavo scrivendo o sono ancora vivi. Penso a Hubert Selby Jr, Tom Wolfe, Hunter Thompson, Brett East Ellis, Douglas Coupland, David Foster Wallace, tanto per fare i primi che mi vengono in mente. Sono tutti stranieri, anche se poi, in concreto, ci sono dei padri putativi italiani cui devo molto. Non avrei mai cominciato a scrivere se non mi avesse spinto a farlo Nanni Balestrini, quando lo conobbi in quel lontano 1994. Non avrei fatto della scrittura una professione se non avessi incontrato Ferruccio Parazzoli. Due autori diversissimi tra loro, ma entrambi praticamente coetanei di mio padre. Qualcosa, tornando all'idea di caso, vorrà pur dire...

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?


Vivo da dodici anni e passa a Milano, quindi è qui che vedo il mio baricentro. Ma, salvo qualche volta all'inizio della mia trasferta, evito come posso di frequentare di persona i miei colleghi. Preferisco, se proprio devo scegliere, frequentare musicisti e cantanti. Un luogo dove però vivo e frequento parecchi colleghi è la rete, probabilmente il vero ombelico del mondo al giorno d'oggi.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?


Grazie alla letteratura, sempre che io possa essere annoverato tra quanti fanno letteratura, mi ha permesso di vivere. Non parlo di urgenze creative, ma proprio di rate del mutuo da pagare, di corsi di piano a cui iscrivere mia figlia, di monopattini di Ben10 da comprare a mio figlio. Se questo poi sia anche servito a fare di me un uomo più felice non so. Sicuramente non è quello che pensavo di fare da piccolo, anche se ci va molto vicino.

La ringrazio e buona scrittura.


Sono nato ad Ancona nel 1969, ma vivo a Milano. Ho pubblicato 19 libri per i principali editori italiani. Il prossimo è Tangenziali, in uscita a inizio febbraio per Guanda e scritto a quattro mani con Gianni Biondillo. Ho lavorato come consulente editoriale per Mondadori e Rizzoli, e scritto come reporter e critico musicale per riviste italiane e spagnole.
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