Braccio di ferro e il gatto di Schrödinger
Autore: Michele RueleMar, 01/12/2009 - 10:19
Di Michele Ruele
Elzie Crisler Segar, Daniele Benati, Ugo Cornia, Paolo Nori
“L’accalappiacani” n. 4
numero speciale
Ristampa integrale di Bernice la gallina fischione, la storia in cui Braccio di Ferro compare per la prima volta
Derive Approdi, senza numero di pagine, 15 euro
Apparenze
La prima strip in cui appare Braccio di Ferro è una conferma dello statuto di Popeye (il nome americano significa occhio a palla, occhio sporgente) come entità liminare fra essere e non essere, fra nulla e qualcosa, fra quel che si è e quel che sembra, fra necessità e possibilità.
Castor Oil cerca uomini per l’equipaggio sul molo e vede un tipo: è la prima apparizione di Popeye.
«Ehi, voi, siete un marinaio?»
«Perché, vi sembro un cowboy?»
Esprit de l’escalier
Braccio di Ferro ha più un’intelligenza operativa che altro, ha qualche problema con le parole. Gli vengono anche piuttosto lentamente. I francesi chiamano questa indole esprit de l’escalier, ti viene in mente la battuta che potevi fare quando scendi le scale, hai dovuto pensarci un bel po’. Ma quando dovrebbe venire quella parola là, quella giusta tempestiva e pertinente, niente. Certe volte, Braccio di Ferro risolve tutto con dei pugni, però è dotato anche della virtù dell’autocritica: pensatore lento (lento nelle parole, nelle azioni no) sa prendersi il suo tempo, ad agio.
Dice Braccio di Ferro: «È all'incirca la mia unica buona qualità. Non serve cervello per essere buoni».
Amore
Le prime battute tra Olivia e Braccio di Ferro:
Lei: «Hai una faccia che sembra un naufragio»
Lui: «Che mi venga! Proprio lei che ci ha un paio di gondole ai piedi!»
E poi invece...
Gatto di Schroedinger
La storia inizia con lo zio Lubry che ritorna a casa dall’Africa e porta con sé una scatola; la famiglia Oil è composta da Castor, Olivia, Ham, pa’ e ma’.
«Ehi, zio, cos’hai in quella scatola, regali?» e invece è una gallina fischiona, un uccello stranissimo.
«Dai allora – fa Castor – apri la scatola e faccelo vedere».
Lo zio sostiene di avere inchiodato la scatola alla partenza con l'uccello dentro. «Eppure – aggiunge - sono sicuro che dentro non c’e». «Fantasie», Castor.
Si passa alla verifica: «Adesso ti faccio vedere io, zio Lubry. Scommetto dieci carte che la gallina è nella scatola. Sono sicuro che c’è perché la sento dire fis’ci».
Anche noi lettori come Castor siamo sicuri che la gallina c’è. Ma quando schioda la scatola: «Per la madosca, non c’è niente».
La storia va avanti un bel po’, lo zio Lubry spilla altre carte da mille a Castor, non si capisce niente, la gallina c’è e non c’è dentro la scatola, appare in posti diversi. Siamo in piena decoerenza.
L’unica soluzione sarebbe uccidere la gallina, ma questa è un’altra storia.
1928. Siamo negli stessi anni in cui il fisico Schroedinger propone l’esperimento mentale del famoso gatto. Forse anche prima dell’esperimento mentale di Schroedinger.
L’esperimento concettuale è questo: metti un gatto in una camera chiusa con un oggetto radioattivo, un contatore Geiger e una fiala di veleno. Se la sostanza radioattiva emette una particella alfa, il contatore Geiger la rileva e automaticamente scatta un meccanismo che rompe la fiala di veleno così il gatto muore.
Se la sostanza non emette, il gatto rimane vivo.
Aspetti un tempo nel quale la probabilità che la sostanza abbia emesso una particella è del 50%. Che ne è del gatto?
Secondo la meccanica quantistica (se il gatto fosse un oggetto quantistico, ma non lo è ) potremmo descrivere il gatto con una funzione d’onda che racchiude in sé sia lo stato vivo che lo stato morto, stati che insieme lo descrivono 50% - 50% .
Finché un osservatore non guarda (sarebbe meglio dire misura) il sistema, questo è così, ha queste due possibilità che però appunto nessuno vede.
Ma appena qualcuno lo osserva, allora deve osservare lo stato vivo o lo stato morto. Ma osservando il sistema, l’osservatore lo altera, così quello che vede è in parte effetto dell’atto di misurare, cosa era prima lo può descrivere solo con la probabilità (metà vivo metà morto).
Come la gallina fischiona nella scatola dello zio Lubry: c’è e non c’è. Occorre aprire la scatola.
Anche Braccio di Ferro deve fare i conti con questa storia della decoerenza, ma l’ha risolto evidentemente, la frase che lo caratterizza nel suo slang sgrammaticato è: «I yam what I yam». Sono quel che sono. Chiaro, no? (su apparenza, esserci e non esserci, vita e morte, cfr. anche le voci apparenze e asole e rapidità).
James Joyce
bababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerronntuonnthunntrovarrho-
unawnskawntoohoohoordenenthurnuk non è un’espressione di qualcuno degli animali o dei personaggi surreali inventati da Segar, bensì l’inizio di Finnegan’s wake di James Joyce.
Gallina fischiona
Whiffle hen è la storia in cui lo zio Lubry porta a casa dall’Africa un animale magico, appare in 117 puntate fra il 10 settembre del 1928 e il 27 marzo 1929. La prima parte è incentrata su Castor che tenta di ammazzarla, per scommessa: i tentativi si susseguono in un crescendo umoristico irresistibile. Poi la gallina e Castor si affezionano, la gallina fischiona fa un po’ come le papere di Konrad Lorenz, segue dappertutto Castor che a sua volta la ama come una figlia. Poiché una delle sue qualità è portare fortuna, cercano di rapirla dei loschi criminali proprietari di un’isola-casinò dove spennano miliardari. Castor, con l’aiuto di Olivia, di Ham, della gallina e di Braccio di Ferro sgomina la banda e porta a casa un cumulo di sacchi pieni di denaro.
Porca madosca
Daniele Benati, scrittore e traduttore (già ha lavorato su grandi dell’irregolarità linguistica del Novecento: James Joyce, Flann O’Brien, Ring Larner), aiutato da Paolo Pergola, ha ritradotto in versione integrale La gallina fischiona. Nel 1979 era la gallina sbuffante. La letteratura e il fumetto italiani hanno una difficoltà innata a calarsi nel parlato, in una lingua che non sia letteraria. Daniele Benati e gli animatori dell’Accalappiacani sanno quel che dicono quando si tratta di parlato, di stralunature, di parole che vengono su dal quotidiano ma anche dalla concretezza, dalla nebbia, dai cortili, dalle strade.
E allora nelle nuvole che escono da questo albo ci sono frasi come «Non bisognava che avevi vinciuto così tanto», «C’ha un cervello che non tapperesse neanche la mia pipa, una volta mi ha chiesto di orzare l’ancora, iniorante che non è altro».
Ma Braccio di Ferro sa dire anche, per esempio: «La longitudine è la distanza verso est o ovest sulla superficie terrestre, misurata attraverso l’angolo dato dal meridiano di un posto rispetto a un meridiano standard».
Accalappiacani
Questo e il 4 - numero speciale - della rivista “L Accalappiacani”, “Settemestrale di letteratura comparata al nulla”, con la ristampa integrale di Bernice la gallina fischiona di Elzie Crisler Segar, un pezzo su Segar e Braccio di Ferro, uno sulla comicità e un racconto ispirato da Braccio di Ferro di Paolo Nori, Ugo Cornia e Daniele Benati. Gli articoli, racconti e tutti i testi dell’Accalappiacani non sono firmati, c’è solo l’elenco degli autori in fondo al numero.
Segar
L’autore di questa storia e inventore di Braccio di Ferro era Elzie Crisler Segar, nato a Chester l’8 dicembre 1894 e morto a New York il 13 ottobre del 1938.
«Braccio di Ferro non è morto con il suo autore, ma ha continuato a vivere per mano di allievi (Bela Zaboly, Bud Sagendorf) che sempre più si sono allontanati dallo spirito del maestro, trasformando un fumetto per adulti, surreale, clownesco, raffinatissimo e becero (sic), in un melenso prodotto per bambini sub-normali (sic)» (Beppi Zanclan, in Cinquant’anni di spinaci, Mondatori 1979).
Nell’introduzione dell’albo, la redazione dell’Accalappiacani – Paolo Nori, qui – dice: «Qui nella redazione dell’Accalapiaccani… abbiamo l’impressione… che uno dei grandi narratori del Novecento sia Elzie Crisler Segar».
Asole
Sulla nave, nella bonaccia, Castor, Olive e Ham hanno la sensazione che stia succedendo qualcosa di brutto. C’è una brutta aria. Si è imbarcato anche Snork, infame traditore e spia. Snork spara a Braccio di Ferro. Braccio di Ferro ha sedici colpi in corpo, non sa nemmeno lui se sopravviverà; anzi, a un certo punto vorrebbe anche morire, che lo lascino lì sul ponte della nave.
Credono che sia andato.
Ma quando tutto pare perduto, viene di nuovo fuori.
E Castor dice: «Ehi, Braccio di Ferro, credevo che Snork ti avesse sparato!»
E lui: «E cosa credi che siano queste, delle asole?»
Numeri di pagina
Raccontano che James Joyce pose due condizioni al suo editore. Primo, intitolare il suo romanzo Ulisse, e l’editore accettò; secondo, un elemento d’avanguardia che l’editore non accettò, non segnare il numero delle pagine, per poter dar luogo a una lettura non lineare, frammentaria, votata alla simultaneità e alla decoerenza.
DeriveApprodi non ha messo il numero alle pagine di questo albo, chissà se su richiesta dei curatori o cosa.
Rapidità e ellissi
Braccio di Ferro sarà anche lento di comprendonio e molto iniorante (come direbbe lui), ma il ritmo delle storie di Segar è rapidissimo, essenziale, sintetico, ellittico. Sarà che le strip devono essere delle cellule a sé stanti e dotate di significato autonomo, perché apparivano a puntate sui giornali. La composizione seriale, le ripetizioni, il procedere ellittico sono un proprium del fumetto e nelle prime storie di Braccio di Ferro questa caratterizzazione del genere è fortissima, infonde loro una carica di surrealismo che si somma a quella dei contenuti: nelle storie di Segar ci sono animali magici, popoli sotterranei, giganti pelosi, streghe, vari eventi soprannaturali.
Nel fumetto c’è anche l’inesistente, c’è l’assenza: uno, perché le tavole sono accostate per questa rapidità ellittica e il lettore/interprete aggiunge moltissimo, quasi tutto a ciò che è in sostanza solo accennato, dato per campioni; due, perché il linguaggio del fumetto è forse l’unico che sa far vedere l’assenza (al posto di una cosa scomparsa resta un’ellisse di trattini).
Metafisica
I paesaggi sullo sfondo: ci sono fattorie nella pianura con delle nuvole, il vasto mare con delle nuvole, il cielo con delle nuvole. Sono panorami metafisici; infatti, fra l’altro, ci sono delle avventure in primo piano.
Comicità
Alla presentazione di quest’albo – numero speciale dell’Accalappiacani, a Reggio Emilia, il 21 novembre, Daniele Benati lo leggeva e gli veniva da ridere anche a lui, che l’ha tradotto.
Ci sono tre testi accompagnatori della Gallina fischiona, uno proprio sul comico e l’umoristico, che dovrebbe essere proprio di Benati (non sono firmati, come tutti i testi della rivista), che dice, fra l’altro: «Leggendo questi primi capitoli di Segar che risalgono alla fine degli anni Venti, si vede chiaramente come all’inizio egli non sapesse nemmeno chi fosse Braccio di Ferro. I suoi personaggi erano altri: Castor, lo zio tornato dall’Africa, la gallina fischiona. Poi la storia lo ha portato a incappare in lui, Braccio di Ferro. Proprio come succede nella narrativa che procede un tanto al braccio, senza idee precise, senza schemi di trama, ma sostenuta da un impulso al narrare che può derivare da un certo tono di lingua, o come, nel caso di Segar, da una irrefrenabile spinta comica. In Segar questa spinta comica è evidente nel tratto del suo disegno, nel modo in cui delinea le espressioni facciali e nell’invenzione dei personaggi… Segar ha riportato l’umorismo alla base, facendo appello alle leggi più semplici che regolano questo meccanismo umano che si manifesta nell’età dell’infanzia, e quasi obbedendo alla teoria di Freud secondo cui il riso non è altro che un recupero di ciò che proprio nell’infanzia ci arrecava piacere».
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