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Roberto Saviano: riflessione sulla sua letteratura

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Di Claudia Verardi

Da un po’ di tempo mi capita di riflettere su quello che dice – e scrive – Roberto Saviano. E in questi giorni, in cui il governatore Draghi parla dell’inefficienza delle regioni del sud a causa, soprattutto, delle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni mi capita di riflettere ancora di più. Affrontare l’argomento Saviano di questi tempi non è cosa facile, sia per le questioni complicate che affronta, sia perché, qualunque cosa uno possa dire, troverà sempre qualcun altro pronto a contraddirlo. L’inferno vuole vivere prendendo il sopravvento sulla bellezza, ma la bellezza lo oscura e, perciò, bisogna farla fuori per vedere solo il buio e il lercio delle cose. Roberto Saviano ha dato spazio a una letteratura che mostra la bellezza soffocata dalla bruttura dell’inferno e sento che desidera sopra ogni altra cosa tornare a far splendere quella bellezza. Sono napoletana e, da sempre, mi accorgo che essere napoletani spesso vuol dire portarsi dietro una specie di lettera scarlatta che ti segue dovunque tu vada. Molti pensano che un napoletano può volerti fregare, può essere omertoso o, spesso, ha studiato meno e peggio. Ma, soprattutto, potrebbe essere un camorrista. Certo, la massa della gente non la pensa così. E meno male. Perché il napoletano non è meglio, né peggio degli altri, ma solo uguale.

Ho amato molto Massimo Troisi perché ha lavorato sul ribaltamento dei cliché, spiegando che il napoletano poteva anche viaggiare, non per forza emigrare. E oggi amo la letteratura di Roberto Saviano perché anche questa rifiuta i luoghi comuni (che non mi piacciono né in bene, soprattutto se folcloristici, né in male) ma vuole informare, far capire, far aprire gli occhi alla gente tutta, agli italiani del sud come a quelli del nord.
Insieme a Carlo Lucarelli (e a molti, molti altri) Saviano sta cercando di spiegare veramente cosa siano le mafie, e la camorra in particolare, ma credo stia anche tentando, senza falsità e qualunquismi vari, di far capire quali siano le bellezze e gli orrori di una terra da sempre complicata, la Campania. Mi hanno molto colpito le parole che usa nel suo secondo libro, La bellezza e l’inferno. Al ventitreesimo rigo di pagina venti, definisce il territorio campano “il buco del culo d’Italia”. Ecco, questo mi sembra un buon punto di partenza per capire la letteratura di quest’autore arrivato al successo per aver portato alla luce le vicende e gli aspetti più nascosti del “sistema” campano, quello che una volta si chiamava camorra. In effetti se ne parla da sempre, ma diciamo pure che se ne è sempre parlato sottovoce, senza farsi sentire troppo. A Roberto possiamo dare il merito di averne parlato a voce alta, nelle piazze, nei teatri, davanti ai malavitosi a cui ha sbattuto in faccia il suo sdegno senza un briciolo di paura. E il merito di aver approfondito e parlato a tutta l’Italia e al mondo, non solo alla regione interessata. Già, perché il fatto è che non esiste una sola regione infettata dalla mafia e dal “sistema”, ma un intero Paese e, molto più probabilmente, purtroppo, un sacco di altre zone dell’Europa.

Roberto Saviano parla alla gente con la letteratura. Ogni incontro che fa è letteratura pura, è letteratura alta, anche se molti potranno dissentire e dire che è solo informazione. No, io credo che sia proprio cultura letteraria quella in cui si adopera, perché se è vero che racconta la realtà, è altrettanto vero che lo fa raccontandola attraverso storie. Storie vere, sì, che diventano come storie di carta, così dolorose da sembrare finte.

Il poeta inglese John Keats parlava di bellezza contrapposta all’inferno della verità.
La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere.”

Saviano nei suoi libri, nei suoi editoriali e nei suoi racconti ad alta voce parla proprio di bellezza e inferno della verità. Anche se, mi preme sottolinearlo, non è un eroe, ma uno che per convinzione ha fatto delle scelte difficili, estreme, e che per combattere usa la parola (e la letteratura) anziché le armi.
La parola è al centro della letteratura, è importante, è uno strumento di potere che può veicolare verità, giustizia ma anche calunnie e diffamazione ed ecco come la parola – e la letteratura – diventa un’arma, anche a doppio senso, se volete. Con i suoi libri (che usa come strumento di informazione e indagine) Saviano ci ha fatto riflettere sull’eventualità di poter prendere un abbaglio e confondere la povertà e la malattia strutturale di un sistema con la sua cultura sociale o, almeno, con una parte di essa. La cultura sociale delle persone, così come quella di formazione, può rimanere intrappolata dentro un metro di giudizio o dentro osservazioni erronee e magari superficiali. Saviano usa il genere della non fiction per raccontare verità scomode e sa dosare bene le parole per creare effetto provocatorio. Utilizza la letteratura in modo nuovo, rivoluzionario, quasi dissidente, creando uno stile e un registro mai visti finora. Ha paura del silenzio che crea l’omertà generata, a sua volta, dalla paura. E con la letteratura lo combatte, quel silenzio. La comunicazione scritta non è silenziosa, rompe il muro di reticenza che si può creare e concorre alla denuncia del male che possono procurare le mafie a un territorio, dai disastri ambientali ai danni e all’impoverimento alle risorse pubbliche, fino a quello che hanno subito (e subiscono ancora quotidianamente) le persone per bene. Questo scrittore ha posto al centro della sua narrativa la possibilità di poter raccontare quello che stava succedendo. Nella sua letteratura di battaglia, non si è occupato solo di camorra, ma anche di altri brutti affari sparsi per il mondo, come la storia di Ken Saro- Wiwa, autore nigeriano impiccato a Lagos per la sua opposizione alle compagnie petrolifere, Anna Politkovskaja, uccisa per i suoi scritti sulla Cecenia e Miriam Makeba, nota anche come Mama Africa.

Però Saviano è un intellettuale e, come tutti gli intellettuali, sa che la storia è andata in quella direzione. Ma scrive lo stesso, insiste, combatte e scrive libri che arrivano in tutta Italia e nel mondo. Spero che questo suo lavoro di scrittura possa servire e, soprattutto, non sia stato vano. La sua letteratura è potente ma brutale, appassionata, ma visionaria ed è il principale strumento di una persona coraggiosa che ha accusato e sfidato la camorra e, dopo una serie di minacce, è costretto ormai a vivere sotto scorta. Di letteratura e di libri Saviano ne sa a pacchi. Spesso ne ha parlato nel programma Che tempo che fa condotto da Fabio Fazio, spiegando quanto i libri possano mettere in crisi addirittura regimi politici, come hanno fatto gli scritti, le canzoni e le idee delle persone sopracitate.

Certo Roberto Saviano e la sua letteratura spaventano, soprattutto spaventano la gente della zona, i campani, che hanno paura che si diffonda ancora di più l’immagine negativa che altri hanno di loro e della loro terra. Non hanno capito, queste persone, che i libri e gli interventi di Saviano non infangano nessuno, ma fanno parte del lavoro di denuncia portato avanti per difendere e cercare di rimettere in piedi una terra che, un tempo, si chiamava “felix” e che ora vive senza scrollarsi di dosso i prepotenti, né difendersi da accuse a volte qualunquiste e ordinarie.
Ultima cosa: ovviamente rispetto chi non ama la letteratura di Roberto Saviano e non ne condivide il pensiero, però lasciatemi dire una cosa: meglio idee discutibili che zero idee. Meglio libri che abbiano un senso che libri inutili e scritti male.
Meglio sperare – e combattere – per il cambiamento che accettare la retorica del tirare a campare.


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