Palahniuk, lo scrittore borderline - da "Fight Club" a "Pigmeo"
Autore: Morgan PalmasVen, 13/11/2009 - 12:12
Di Leonilde Bartarelli
Chuck Palahniuk è uno scrittore difficile. O lo si ama o lo si odia. Addirittura ogni suo singolo romanzo rientra in questa dicotomia. Lui stesso fa di tutto per non piacere al lettore, pare quasi voglia respingerlo, scandalizzarlo e scioccarlo in ogni modo.
Questo è evidente in modo particolare nel suo ultimo romanzo: Pigmeo, dove mette alla prova la pazienza dei fedelissimi sconvolgendo non solo i contenuti, non solo la struttura ma anche la lingua stessa.
Porta al limite tendenze che già sono negli altri suoi romanzi e distrugge in piena consapevolezza la sintassi scrivendo un intero romanzo in un gergo faticosissimo e provocatorio interessante dal punto di vista concettuale ma difficile nella lettura e neanche tanto coerente, a ben vedere, con la figura del protagonista narrante (straniero sì, ma non così ignorante, visto che vince gare di spelling).
Ma per comprendere e accettare almeno concettualmente questo romanzo occorre conoscere l'autore e i suoi percorsi.
Le sue storie non sono mai lineari, il lettore deve affidarsi e confidare in lui, sapendo che alla fine tutto tornerà, che l'architettura ingegneristica che regge i suoi libri sarà evidente, anche se per buona parte del testo gli sembrerà di non capire nulla e di barcollare in uno psichedelico e schizoide universo senza capo né coda.
Palahniuk ha avuto lui stesso una vita complicata e segnata da morti violente di familiari (suicidi, omicidi), ha vissuto situazioni estreme e conosciuto realtà inquietanti. Questo si indovina da alcuni temi a lui cari, dalla costante instabilità psichica e sessuale dei suoi personaggi, uomini e donne borderline e spesso travolti e manipolati da una società che li esalta, li schiaccia, li respinge o li attrae irrimediabilmente.
Lo stile è sempre per un motivo o per l'altro innovativo e crudo. Le frasi sono per lo più brevi, secche, a effetto, inframmezzate da interruzioni, flashback che all'inizio sono chiari solo all'autore, con frequenti battute rivolte al lettore quasi fosse un complice o un nemico. Privo di avverbi e particelle che rallentino il ritmo parlato e schizoide.
Ma mai uguale, dicevo. Ogni romanzo ha le sue connotazioni particolari, al di là di una linea generale sarcastica, grottesca, spesso crudelmente amara, di un umorismo nero e graffiante.
Spesso i suoi personaggi intraprendono viaggi deliranti su e giù per l'America, in auto, rubando passaggi in rimorchi contenenti parti di case prefabbricate (come in Survivol) in una ricerca ossessiva di felicità al di là delle regole comuni, in continua parodia della logica consumistica e competitiva, dove i mass media dettano legge e realtà alternative creano velocemente miti e altrettanto velocemente li dimenticano.
Tutto si basa sul riso amaro di folli situazioni tese allo spasimo che arrivano dritte allo stomaco come pugni nella loro assurda esagerazione così reale e vicina alla moderna società contemporanea. I rapporti umani fra gli individui sono disgregati e si fondono in deliri di allucinazioni fino ad arrivare talora al paradosso di non sapere neanche se l'amico che ci sta accanto è un fratello, una sorella o siamo noi stessi proiettati in altri, se esiste lui o noi e quale dei due è parto di una personalità disturbata. Nessuno è più sicuro di un affetto o di un legame che anche se forte è sempre folle e delirante. Situazioni sgradevoli che ripugnano istintivamente: morti, omicidi, sodomia, violenze, stupri, pornografia, bambini uccisi. Non risparmia nulla e nessuno.
Difficile dare un giudizio ai suoi libri e consigliarli ad altri o no: in questo caso il gusto personale influisce più che mai. È uno scrittore che tocca nervi scoperti e come tale scatena sentimenti opposti.
In una rapidissima carrellata dei suoi romanzi si parte dal primo pubblicato Fight Club (1996, reso celebre anche dal film di David Fincher), dove regna la violenza assoluta, tesa all'autoannientamento ma, nello stesso tempo, salvifica.
Survivol (1999): la credulità collettiva, la società che plasma l'individuo e poi lo distrugge, in cui le pagine sono numerate all'incontrario, in un conto alla rovescia del protagonista che va verso il suicidio raccontando la sua storia.
Invisible Monster (in realtà il suo primo romanzo ma uscito nello stesso anno). Un altro viaggio, ma non verso la morte bensì alla ricerca dell'identità sgretolata e persa nel culto dell'immagine e della bellezza.
Nel 2001 esce Soffocare: la liberazione dalle pastoie del passato e dei pregiudizi imposti dalla pressione sociale. Per i miei gusti il migliore e il più dirompente.
Poi Ninna nanna (2002), onirico e fantastico. Il potere della parola elevato alla massima potenza.
Diary (2003) non è considerato dai più uno dei capolavori, ma io lo trovo quanto mai affascinante. Scritto in forma di diario, mescola tempi presenti e passati, prima, terza e seconda persona tutti insieme in un risultato da caleidoscopio mutevole. Una società perfetta che imbroglia e usa l'individuo, distruggendo prospettive e scelte.
Cavie (2004): Un reality show unito al Decamerone, con storie grottesche narrate in prima persona senza sapere chi, tra i vari personaggi, la sta narrando. Il mito del raggiungere fama effimera attraverso l'autosofferenza, il bisogno disperato di incolpare qualcun altro delle nostre disgrazie.
Rabbia (2005): struttura di nuovo diversa: la ricostruzione di una vita attraverso ricostruzioni orali, interviste e notizie post mortem, con un riuscito risvolto fantascientifico.
Gang Bang (2008): Qui i personaggi, identificati da numeri, in una cornice pornografica grottesca si scambiano la parola rivisitando le scene più volte da tre più una angolazioni.
Arriviamo quindi a Pigmeo (2009) con il suo stile volutamente sgrammaticato, sulle assurdità delle motivazioni terroristiche da una parte e sulla nullità di valori della gioventù e del capitalismo americano.
Per il 2010 è previsto Tell All. Staremo a vedere.
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