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Lo scrittore schizofrenico

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Di Giovanni Pannacci

Leggendo i vari articoli o le interviste agli scrittori pubblicati in questo blog, vi sarete resi conto che non esiste una metodologia di lavoro unica nell’affrontare la scrittura di un romanzo.
C’è chi si costruisce una sorta di scaletta, chi una grata dettagliata, chi realizza delle schede accurate per ogni personaggio, e chi, invece, chiede alla pagina bianca e alla stessa scrittura di lasciarsi condurre e sorprendere, affidandosi soltanto a una iniziale suggestione, a una labile idea di partenza.
Questi metodi di lavoro sono ovviamente tutti validi, adottarne uno piuttosto che un altro dipende dal singolo scrittore. Saranno il tempo e l’esperienza ad affinare tecniche e metodologie, elementi, questi, che viaggiano insieme all’ispirazione molto più a stretto contatto di quanto non si pensi.

Quello che conta, a mio avviso, è avere un’idea di partenza forte. Non necessariamente un fatto, un evento. A volte può essere anche un’immagine a mettere in movimento una storia, a farci partire per un viaggio che, pagina dopo pagina, ci farà incontrare personaggi e intrecciare vicende.
Tuttavia, che ci si metta a scrivere soltanto dopo aver definito nei dettagli ogni singolo capitolo, o che si contempli la pagina bianca con in testa solo fugaci suggestioni, bisogna sempre pensare che la materia romanzesca è viva, pulsante e dinamica.

Il romanzo, nella sua fase di scrittura, è una creatura famelica, bulimica, che ha continuamente bisogno di elementi nuovi per formarsi e per crescere. Quando inizierete, come bravi carpentieri, a costruire la macchina narrativa che conterrà la vostra storia, scoprirete che non si è scrittori solo nel momento in cui, praticamente e fisicamente, si è impegnati nell’atto dello scrivere.
Se una storia sta crescendo dentro di voi, una parte del vostro cervello sarà costantemente impegnata a nutrirla. Potrebbe capitarvi, ad esempio, di essere impegnati in una conversazione di lavoro e iniziare a guardare il vostro collega con occhi nuovi. Magari potreste scoprire che un suo tic o una sua caratteristica fisica o un suo modo di dire starebbero benissimo a uno dei vostri personaggi. Oppure vi potreste trovare a origliare delle conversazioni nella sala d’aspetto del medico o in treno, e riportarle pare pare nelle vostre pagine.
Potreste far vedere ai vostri personaggi film, mostre e concerti che avete visto, potreste fargli prendere aerei che voi avete preso e farli girare per città che voi avete visitato.
Vi succederà, insomma, di vivere una stimolante e curiosa forma di lieve schizofrenia.

Non sarete mai più soli. Potrebbe addirittura capitarvi di sognarli, i vostri personaggi. Come fossero dei parenti, dei vecchi amori, delle faccende in sospeso.
E, fatalmente, finirete per innamorarvi di loro. Vi sorprenderete a guardare le cose con occhi nuovi, gli occhi dei vostri personaggi. Guarderete la vostra stessa vita con inaspettata curiosità, perché scoprirete quanti stimoli può offrire una singola esistenza e quanto importanti, se considerati da un punto di vista narrativo, possano risultare dei dettagli che abbiamo sempre ritenuto insignificanti.
Ecco perché, al di là dell’esito editoriale, al di là del successo, scrivere un romanzo può risultare un’esperienza interessante. Ma bisogna essere bravi a fare in modo di non creare cloni di noi stessi, bensì creature letterarie originali e indipendenti. Imparare, insomma, a trarre il massimo risultato da quella leggera condizione di schizofrenia che affligge ogni scrittore.


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