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L'arte di raccontare: favola, novelle, "romanzo" nel mondo classico ed echi nelle letterature occidentali attraverso alcuni esempi

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Di Adriana Pedicini

La "morale" della favola: la favola in Fedro

È facile constatare come i giovani di oggi abbiano desiderio, anche in fatto di morale, di punti di riferimento sicuri che con sofferenza talvolta cercano in comportamenti poco coerenti del tessuto familiare e sociale; e che spesso il loro recalcitrare di fronte a consigli e ammonimenti severi è solo un modo per mettere alla prova non tanto se stessi, quanto gli adulti (genitori ed educatori). Entrare nel mondo della favola che abbia per protagonisti animali può essere un modo immediato per osservare comportamenti trasferibili al mondo umano. La chiarezza ed immediatezza del linguaggio sia poetico che prosastico della traduzione permette ai giovani di recepire immediatamente la morale di ogni favola, sviluppando un dibattito sui temi evidenziati e su particolari vizi e difetti dell'animo umano sempre in dissidio tra bene e male, tra onestà e disonestà, tra arroganza ed umiltà ecc. La favola antica, in quanto racconto fittizio che raffigura la verità in modo metaforico, coinvolge l'attenzione degli studenti su molti aspetti della vita, su lati del comportamento umano che, oltre che essere guidati da superiori ideali e valori etici, hanno bisogno di essere chiariti ed interpretati anche da schegge di buon senso, di terrena saggezza, di piccoli ammonimenti che, proprio perché più leggeri, più facilmente si insinuano nell'animo e spingono alla riflessione. È solo partendo dall’osservazione dei comportamenti dei personaggi favolistici e dalla riflessione sui propri che fin dall’età infantile è possibile stimolare l’affettività, il rispetto, l’accettazione dell’altro da sé.

"Fin dai tempi più antichi esistevano narrazioni in prosa di vario genere, ma possiamo dire qualcosa solo riguardo alla favola che ha come protagonisti gli animali" (A. Lesky).
A questo punto conviene citare quanto dice un esperto di retorica, Elio Teone, che visse ed operò ad Alessandria a cavallo tra il primo e il secondo secolo d.C., che ci dà una adeguata definizione della favola: "Racconto fittizio che raffigura la verità in modo metaforico", e la verità in questione è un fatto della vita, un lato del comportamento umano, assai più spesso una scheggia di buon senso, di terrena saggezza, più che d'asserzione morale in senso etico vero e proprio.
I temi della favola sono diversi e variegati: fatti della vita degli dei, degli animali, degli uomini colti nella loro quotidianità; i protagonisti sono spesso animali dotati di intelligenza e di parole umane, ma non mancano anche soggetti della natura inanimata.
A partire dal V secolo a.C. i Greci associarono il genere della favola ad Esopo, un logopoiòs, a cui venne attribuito con l'andar del tempo un numero sempre maggiore di favole tutte poggianti sulla medesima impostazione strutturale estremamente semplice e aventi come protagonisti uomini, talvolta piante e più spesso animali.
Questi sono caratterizzati secondo una tipologia elementare e fissa, per cui il leone è forte e prepotente, la volpe astuta, la pecora pavida, il lupo ingordo; in essi si riflettono i principali vizi degli uomini: la prepotenza, la falsità, la stupidità, l'ingordigia, la viltà, la paura e per contro, attraverso di essi, occorre leggere l'ammaestramento, che guida all'acquisizione delle opposte virtù.
Accanto agli animali è presente in questo mondo favolistico una umanità miserevole, colta nei suoi aspetti più dimessi, nella dura realtà del lavoro quotidiano: contadini, pescatori, pastori, rassegnati di fronte alle asperità del vivere, incapaci di trovare scampo ai soprusi della ingiustizia sociale. Ad essi dunque dà voce la favola, che dissimula nella sua contenuta polemica e nel travestimento metaforico dei suoi personaggi "la protesta degli umili" e la disincantata rassegnazione delle classi subalterne.
La favola, corredata quasi sempre dalla formula di commento morale esplicativo "la favola dimostra che", è costruita su uno schema ingenuamente analogico che vede contrapposti i protagonisti in modo tale che si determini un vincitore e uno sconfitto. In questo universo in cui gli animali esemplificano i vizi e i difetti degli uomini, ed in cui si articolano le diverse vicende che possono verificarsi nella realtà, ha un ruolo determinante la saggezza comune, attenta alle esigenze pratiche di tutti i giorni, in cui l'astuzia e il buon senso sono strumenti di semplice sopravvivenza di contro alla sopraffazione e alla insensatezza umana.
Le origini della favola si perdono in un lontanissimo passato. Essa trae ragion di essere in quella cultura popolare e politicamente subalterna che nel rapporto conflittuale con i potenti esprime in modo semplice ed immediato le ingiustizie che quotidianamente deve subire.
È probabile che la favola sia giunta in Grecia dal mondo orientale, dove è presente in quasi tutte le popolazioni e prima di Esopo, Esiodo, Archiloco e lo stesso Semonide di Amorgo danno esempi di rielaborazione letteraria di un soggetto tratto dalla tradizione favolistica; ma è con Esopo che il genere della favola acquista autonoma dignità letteraria. In epoca classica la favola ebbe grande diffusione grazie a due importanti veicoli, quello retorico-scolastico e quello popolare. La favola era nelle scuole probabilmente uno degli esercizi più comuni per l'apprendimento del latino e del greco.
Nel sistema scolastico della tarda antichità e del medioevo bizantino, la favola ebbe sicura collocazione in ambito pedadogico e didattico.
I continuatori del genere saranno, in un diverso spazio culturale e ad un più alto livello artistico, Fedro e La Fontaine (Francia del '600).

Fedro, autore latino, dell'età cosiddetta argentea, ha avuto uno strano destino: da vivo non ebbe il riconoscimento che meritava (il contemporaneo Seneca mostra di non conoscerlo neppure di nome; nella lettera a Polibio del 43-44 dice che "l'apologo è ancora un intemptatum Romanis ingeniis opus : VIII, 3) né lo ebbe da morto. Ebbe invece riconoscimenti e più ancora diffusione la sua opera, usata e abusata da moralisti medioevali e moderni, soprattutto settecenteschi.
I suoi apologhi adombrano molti personaggi in vista, anche se non è sempre facile per noi individuare persone e fatti. Tuttavia vale la pena di ricordare che l'apologo non nasce dall'avventurosa fantasia, ma dall'esperienza, e perciò dall'amarezza e dalla rassegnazione. Il genere favolistico in un certo senso dà ufficialità al racconto popolare, quello ispirato dalla saggezza popolare.
Non che i bambini romani e greci fossero privati dei racconti fantastici e meravigliosi, quelli delle loro nonne e delle loro nutrici, ma essi non ispirarono mai la letteratura di quei popoli. Anzi, le opinioni più assurde e irrazionali dell'avversario, filosofo, giurista o altro, erano proprio dette "racconti di vecchietta", anilia; quello che oggi molti chiamano "fantasie", senza ricordarsi che la fantasia non solo è l'attività creativa della mente ma è indispensabile per qualunque intuizione "razionale" dell'attività umana.
Fedro stesso tentò una distinzione tra fabula (il grande mito del teatro tragico) e la sua fabella (83 v.27) e tiene subito a precisare, attribuendo a se stesso troppo meno merito di quanto ne avesse: "Esopo fece un sentiero, io ho aperto una strada" (43 v. 47 e Prologo).
Vari sono i temi trattati da Fedro, ma spicca su tutti quello, possiamo così chiamarlo, della prepotenza, che è manifesto nella celebre favola delle parti del leone (Fedro I,6) dove la prepotenza cerca prima di mascherarsi con false giustificazioni, ma presto anche della maschera si stanca e si scopre brutalmente.

L'interpretazione del mondo sarebbe sconsolante, ma abbastanza semplice, se la violenza si manifestasse sempre apertamente, brutalmente; ma essa vuole l'apparenza della giustizia, vuole farsi chiamare diritto. È qui una delle prove migliori della profondità di analisi di questa antica letteratura popolare. Non è certo per caso che Fedro, come il più amaro così il più antico dei favolisti antichi a noi noto, fa incominciare con la favola del lupo e dell'agnello la sua raccolta (Es. 160, F.2).
Il leone vuole procurarsi la fama di re giusto e venire in odore di santità; ma la vecchia tentazione lo ripiglia: un re giusto, tuttavia, deve ammazzare con una ragione; chiama ciascun animale in segreto e gli chiede se il suo fiato puzza: sia la risposta sì o no, il leone sbrana e mangia. Viene la scimmia e si profonde in adulazioni smaccate; è il suo fiato profumato come cinnamomo, come gli altari degli dei; il leone arrossisce, non vuole mangiarla dopo quell'elogio. Studia una via più sottile: si finge malato, vengono i medici, gli consigliano una carne leggera, che sgravi lo stomaco: "Non conosco la carne di scimmia: l'assaggerei volentieri" e la scimmia viene ammazzata (F.IV,14).

La favola moderna: storie della preistoria di A. Moravia

L'interpretazione dei testi tratti dalla raccolta moraviana evidenziano la complessità del racconto moderno, non in quanto codice linguistico (almeno in questa opera), ma in quanto possibilità allusive e latenti di "lettura" di tipo psicanalitico sottese a una forma di comunicazione apparentemente semplice come sono appunto le favole, anzi le storie, come preferisce denominarle Moravia in questa raccolta. Esse danno la possibilità di riflettere sui condizionamenti che la moderna società impone soprattutto alle coscienze giovanili, incapaci da sé di distinguere, tra i mille bombardamenti che i mass-media producono, quale sia la via giusta da seguire.
La propria individualità e la propria originalità vanno difese, non omologandosi alle mode “strambe” della massa deresponsabilizzata o al conformismo a certe stravaganze o estremismi (sicché non è più originalità), ma nel senso di assunzione, anche nel proprio piccolo, di responsabilità e capacità di scelte autonome; ciascuno deve accettare se stesso con i propri pregi e i difetti, se vuole accettare e comprendere l'altro, il diverso.
Ecco alcuni titoli:
Quando i pensieri gelavano nell’aria.
Gi Raffa cerca se stessa.
I sogni della mamma producono mostri.
Ti odio, bilancia.
Madre Natura decide di cambiare il mondo.
La bella e la bestia.

Per concludere bisogna sottolineare i modi tecnicamente più moderni di presentare al mondo infantile precetti morali, costruendo favole sottoforma di cartoni animati che però se hanno il pregio dell'esaltazione dei personaggi e delle loro azioni attraverso l'immagine, non sempre lasciano spazio alla costruzione fantastica personale dei fruitori.

Ovviamente è inutile dire che Walt Disney o altri autori moderni, nel momento in cui rispettano il bagaglio emotivo-psicologico dei piccoli fruitori, facendosi carico di valori positivi, compiono opera onesta in cui la formazione pedagogica procede di pari passo con l’intento ludico.

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