La paura di un terremoto - cronaca di vita reale
Di Roberto Orsetti
Mi vergogno un poco, a lamentarmi...
Mi vergogno perché penso a chi ha perso gli affetti, la casa, la vita di tutti i giorni nei terremoti precedenti.
Io non sono "terremotato". Non ancora. Né mai, spero, lo diventerò.
Da quindici giorni vivo in una condizione che potevo solo immaginare, dalle parole degli abruzzesi che hanno vissuto questa situazione. Quella che è fatta di scosse, piccole e grandi, vere e false, sentite e immaginate.
Da quindici giorni le mie abitudini sono saltate. Non conosco quella che era la mia quotidianità.
Il mio vicino dorme in macchina, una utilitaria. Si mette sui sedili posteriori e si considera fortunato perché non è molto alto. E le sue occhiaie si accentuano dopo ogni nottata.
Adesso io ho convinto mia moglie.
No, non ad andar via. A preparare il borsone con un cambio di indumenti per ognuno di noi, un sacco a pelo, le coperte. E adesso giro con uno zaino di Dragon Ball con tutto quello che non vorrei lasciar sotto. Documenti, medicine che devo prender tutti i giorni, caricabatterie, due cellulari che non uso ma che ricarico regolarmente, una confezione di pile nuova, due candele.
Il giorno è quasi normale. La notte no, non lo è più.
Appena comincia a far scuro, sento che la mia pressione fa quel che vuole. Mi sono imposto di mantenere la calma, ostentarla ai limiti del possibile. Così organizzo la notte. Tranquillizzo i ragazzi. Poi rimango solo.
La notte è lunghissima. Le orecchie cercano di captare rumori, amplificano anche i segnali inutili.
Se potessi me ne andrei. Ma non lo posso dire a nessuno.
Sto sul materasso, cerco di non pensare al peggio. Ripasso quello che dovrei fare in caso di emergenza.
Mi convinco che non dovrei farmi condizionare, che sarebbe la fine se ci facessimo condizionare. Che vita sarebbe?
Ma non sapere cosa e quando potrebbe succedere mi sta addosso. Non so come reagiremo per davvero, come reagiranno le strutture, la casa, il garage, la casa di fronte, i miei ragazzi, il mio cane.
Mi rendo conto che penso solo alla notte come teatro della tragedia, mai al giorno. Mi dico che se fossi preparato alla notte, il giorno non mi potrebbe spaventare.
18 giorni dal primo allarme. Anche stanotte alle 5 è arrivata. Un colpo secco, qualche vetro che si muove, un sussulto. Stanotte non mi sono mosso. Non ho fatto in tempo. Tra il colpo e la reazione c'è stato l'evento. Ne siamo usciti indenni, vista il grado di magnitudo. Ma adesso la preoccupazione si sposta sui tempi di reazione, che erano stati bassi nei primi quindici giorni, e sono stati da bradipo stanotte. Il fisico ormai si regge sui nervi, ma non credo basti.
E ho pensato che mentre mia moglie faceva volontariato alla protezione civile nella notte fredda di questo posto che ho scelto per vivere, io non mi proteggevo e non proteggevo i miei figli. Almeno non abbastanza. Così devo pensare a come superare questa scarsa reattività.
20 giorni dal primo allarme. Leggo di terremoti, di prevedibilità, di studi statistici. Ho scoperto che il nostro territorio, per come è strutturato il sottosuolo, può evidenziare al massimo un sisma di settimo grado. Mi sento più tranquillo. Crollerebbe quasi tutto, ma non tutto....
Scherziamo, la sera, sul domani... Per stemperare la paura che oramai è in tutti noi. Molti clienti sanno che io ho il pc in negozio. Quando passano si informano sulle scosse che vengono evidenziate dai vari siti, commentano, sospirano, e se ne vanno a capo chino. Non ci sono consolazioni, neanche le visite di Giuliani o dei vari studiosi possono tranquillizzare.
Ho smesso di scrivere il "Romanzo in 100 giorni". Ci metterò un poco di più, magari. Magari lo finisco il prossimo anno. Ero già avanti, griglia, cerchio, collegamenti, personaggi, ma ho notato che in questi ultimi venti giorni nel racconto non succede nulla. E per una avventura non è edificante.
Cerco di leggere, almeno. Ma molte cose non mi attirano più.
Quando lascio i miei ragazzi davanti alla scuola penso che dovrei rimanere li davanti, ad aspettarli.
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