Gioco Daudet
Autore: AnonimoMar, 03/11/2009 - 15:04
Di Giovanni Ragonesi
Oggi si gioca. Stanchi di dover scegliere un libro da leggere tra le infinite novità, scegliamo un libro che non potremo mai leggere. E ce lo andiamo a cercare.
Ci diamo appuntamento al Père-Lachaise, il più bel posto di Parigi. Sullo specifico nella divisione 26 dove, non lontana da quella di Molière, c’è la tomba della famiglia Daudet. Qui oltre al Dickens francese, Alphonse Daudet, riposa, tra gli altri, il di lui figlio Lucien: nato a Parigi nel 1878 e dipartitosi nel 1946.
Per chi è un proustiano d’antan questo nome è di certo noto, per chi invece crocianamente non ama il gossip letterario è dovere spiegare che a partire dal febbraio 1895, a seguito di un paio di cene del giovedì sera, Lucien Daudet sarà “l’affezione” che nel cuore e nelle simpatia di Marcel Proust prenderà il posto di Reynaldo Hahn.
Lucien era un fanciullo molto aristocratico nelle maniere, sensibile nei gusti, snob nelle scelte e nelle boutade (non gli dispiaceva ad una cena essere relegato in fondo al tavolo, diceva, poiché questo era garanzia dell’alta qualità dei suoi commensali), era inoltre molto colto e non avrebbe potuto essere altrimenti dato che nella sua famiglia scrivevano tutti, dal padre allo zio, la madre e il fratello, la sorella e pure la cognata non saprà resistere alla tentazione di cimentarsi con la narrativa.
Sulla complessa vicenda relazionale tra Lucien e Marcel non spenderemo molte parole dato che ci porterebbe in territori altri, molto impervi e in definitiva di secondo piano rispetto alla nostra ricerca. Ci interessa soltanto rammentare che questa liason improntata alla louchonneries avrà vita solo per diciotto mesi e che già nel 1897 il nostro Lucien si voterà al suo amore filiale estetico e freudiano per l’Imperatrice Eugenia (la vedova di Napoleone III) e che i rapporti tra i due riprenderanno all’insegna di una amicizia, temperata e per lo più epistolare, dopo la morte di Mensieur Alphonse Daudet, nel 1905.
Il giovane Daudet era un pittore, cresciuto con gli insegnamenti di Whistler, dotato anche di un certo delicato talento e di un feroce senso di autocritica: proprio da Whistler aveva appreso il gusto per la pittura, aveva imparato a capire perché qualcosa è bello, ma soprattutto aveva imparato a disprezzare tutto ciò che non era di prim’ordine e questo disprezzo gli era spontaneo rivolgerlo verso tutto ciò che faceva.
Dei suoi lavori pittorici, per lo più fiori stilizzati, oggi non ci resta nulla, tutto è stato disperso o distrutto. Ci restano invece i suoi scritti: qualche romanzo, molte lettere, saggi di critica letteraria, per un totale di circa quindici volumi, nessuno dei quali sarebbe oggi di alcun interesse se non fosse per l’amicizia che lo legò a Marcel Proust.
All’uscita di Du côté de chez Swann scrisse un articolo entusiasta per Le Figaro (attraverso l’imperatrice Eugenia riuscì a convincere il direttore restio a pubblicarlo in prima pagina dato che il volume era a lui dedicato) che risvegliò un Proust quasi moribondo, deluso dai vari Gide e Cocteau e France e Coupeau e Claudel; addirittura arrivò a pensare che se la sua opera fosse sopravvissuta il merito sarebbe stato di quelle tre colonne in prima pagina a firma del suo amico – arcangelo – devoto.
Il problema che nacque fu una questione di sincerità. Lucien, sempre a corto di fiducia e autostima, spesso mandava i suoi scritti a prendere l’opinione dell’oramai indiscusso scrittore. Il quale, dal suo canto, non per mancanza di franchezza o di coraggio che in altre circostanze simili, col garbo e la delicatezza che gli erano propri, aveva fatto valere nel consigliare – più che criticare – altri lavori sottoposti al suo giudizio, ha sempre sollecitato e incensato il caro amico, spronandolo a proseguire nella scrittura di quello che a suo vedere era sempre un grande libro tanto che finì con lo scrivere, colmo di grazia, che il suo À l’ombre des jeunes filles en fleurs fosse nulla a paragone de La dimension nouvelle dell’amico.
Ma così non era e il nostro Lucien ne era conscio e persuaso, sapeva che in quelle righe amorevolmente vergate tra le lenzuola c’erano tenerezza, gratitudine, ma la verità era altra cosa ed era lampante e funesta nel confronto tra i due testi. Qualche libro sì lo ultimava, ma come a lavorare sempre per sottrazione: in famiglia aveva già un autore affermato, il suo caro amico Marcel a scadenze più o meno regolari scoperchiava pezzi di quella che già dall’esordio si annunciava essere la più grande cattedrale narrativa del secolo nascente. A lui non rimaneva altro che stare nell’ombra, ammirare e vivere del talento altrui.
Quando Proust morì gli dedicò un libro che dice molto della sua persona. Autor de soxante lettres de Marcel Proust in cui si intreccia un dialogo tra le lettere di Proust (al presente) e l’autore che al passato le commenta e ricorda/ricostruisce la loro amicizia posizionandosi come interlocutore per fare ancora parlare l’amico.
Negli anni a seguire, a parte qualche scritto d’interesse familiare, abbandonò del tutto l’attività di narratore. Nel 1943, all’età di 65 anni, sposò la sorella dello scrittore Pierre Benoit, Marie-Théresè, donna definita “terribile” da chi la conosceva. Tre anni dopo morì.
Adesso inizia il gioco.
Negli ultimi anni di vita, Lucien, secondo diverse testimonianze, stava lavorando ad un grande - per mole e ambizione - romanzo. A circolare sono solo voci, poche testimonianze, ma sappiamo il titolo, La Planète, e l’argomento: osare lì dove Proust aveva taciuto e aveva ridimensionato, cioè nel Sodome et Gomorrhe. Quindi un romanzo senza censure e senza tabù sull’universo omosessuale parigino.
De La Planète però nessuno ha mai visto una pagina e il manoscritto è scomparso.
L’ipotesi più accreditata è che la moglie, scoperto il manoscritto, indignata e offesa (in quanto moglie e in quanto proveniente da una delle famiglie più reazionarie della città) distrusse il romanzo.
Una seconda ipotesi la facciamo adesso noi. E se La Planète non fosse stata distrutta ma sepolta col suo autore?
Consideriamo che Atonia S. Byatt usa lo stesso stratagemma in Possession dove seppellisce il carteggio segreto del poeta R. H. Ash col suo autore. E abbiamo esempi anche al di fuori della finzione narrativa: Dante Gabriel Rossetti seppellì con la bellissima moglie, Elisabeth Siddal, le sue poesie. È quest’ultima suggestione a muoverci nella ricerca.
Elisabet Siddal, detta Lizze, faceva la commessa presso una modista di cui era cliente la madre di Walter Deveral, il quale, quando una sera dell’inverno del 1850, la vide per la prima volta ne rimase folgorato e subito corse a parlare di lei a Dante Gabriel Rossetti e Holman Hunt che stavano cenando nel loro studio.
Il giorno seguente i tre liberarono Lizzie dal suo lavoro e la portarono negli atelier dove nasceva l’arte della confraternita dei preraffaelliti. Lizzie, proveniente da una modesta famiglia di artigiani, seconda di otto fratelli, lasciò tutto per diventare di volta in volta Margherita, Viola, Ginevra, Beatrice e soprattutto l’Ophelia del celebre dipinto di John Everet Millais.
Rossetti rimase affascinato dalla delicata fanciulla, sedotto dal suo corpo giovane, commosso dalle piccole vene azzurre che la sua pelle di un bianco perfetto lasciava trasparire sulle tempie quando una emozione si faceva appena un po’ più forte. Iniziò un corteggiamento lento, ma entro breve i due divennero amanti e lo rimasero sino alla morte di Lizzie.
Elisabeth e Gabriel si sposarono soltanto il 23 maggio 1860, nella chiesa di San Clemente di Hastings. Oramai il loro legame era logoro. Gabriel aveva perso il suo slancio romantico e aveva trovato un’altra musa, Jane Burden, moglie di William Morris, per la quale provava un interesse anche al di là dell’arte. Malgrado i suoi sentimenti e il suo rapporto con Jane, Gabriel rimase sempre al fianco di Lizzie, probabilmente impietosito dalla sua salute minacciata dalla consunzione.
La storica dell’arte - nonché scrittrice - Marisa Volpi immagina che la sera di quel 10 febbraio 1862, di ritorno dal ristorante, il Sablonnière in Laicester Square, Gabriel e Charles Swinburne salutarono Lizzie sulla porta della loro casa in Chatham Place, baciandole la fronte, uno alla volta, il caro amico innamorato un po’ di lei e un po’ di Gabriel, e poi il marito. Rimasta in casa da sola la povera Lizzie fu sopraffatta dai ricordi della sua vita con Gabriel, del loro primo incontro, della prima volta che si lasciò andare tra le sue braccia... poi tutto finì, era arrivata Jane Burden Morris che l’aveva sostituita non solo come modella per i dipinti, ma anche nei pensieri di Gabriel. Infine il bambino nato morto lo scorso mese di giugno aveva posto fine ad ogni speranza.
Guarda la bottiglia di laudano. Indossa la sua vestaglia. Ingoia gli ultimi singhiozzi e poi una dose esagerata che svuota la bottiglia.
Diversa è la versione che amava raccontare Oscar Wilde, per il quale Elisabeth durante la cena si comportò scioccamente al punto da rendere furibondo il marito che la riaccompagnò subito a casa. Lizzie stava male e chiese a Gabriel del laudano; tornò a chiedergliene dell’altro dopo pochi minuti, al che il marito, esasperato, le porse la bottiglia e le disse di finirla tutta, dopodiché, in compagnia di Swinburne, andò a trovare la sua nuova amante, Funny Cornforth.
Comunque siano andati i fatti, Elisabeth quella sera morì.
Prima di chiudere la bara, il giorno del funerale, Gabriel chiuse insieme al cadavere della moglie un quaderno dove proprio Lizzie gli aveva fatto trascrivere le sue poesie.
Nel 1869 Gabriel diede ascolto al suggerimento dell’amico Charles Augustus Howell di recuperare le poesie inedite sepolte ad Highgate Cementry. Prima di allora aveva sempre rifiutato, ma adesso aveva bisogno di poesie inedite per rispondere al successo che William Morris stava ottenendo con The Earthly Paradise, così incaricò Charles di fare eseguire l’esumazione. La riesumazione fu organizzata ed eseguita di notte e tra i presenti pare ci fosse anche Bram Stocher che riprenderà quell’episodio d’apprima in un racconto, The secret of Growing Gold, poi nella scena della riesumazione del cadavere di Lucy in Dracula.
Il quadernetto di pelle di vitello grigio, con le pagine tagliate in rosso, venne recuperato dal grembo di Lizze dove era stato deposto, disinfettato e asciugato; le poesie pubblicate.
Chissà se in casa Benoit questa storia era giunta? Probabilmente non lo sapremo mai. Una cosa che però sappiamo per certo è la fascinazione che tutta la famiglia aveva per leggende e storie più o meno fantastiche. Proprio il fratello Pierre costruirà la sua carriera di scrittore sulla rielaborazione di leggende dei Tuareg e anni dopo si troverà a dover affrontare un processo per plagio.
Arrivati a questo punto c’è solo da scommettere. Bisogna infiltrarsi a notte fatta lungo i viali del cimitero sperando di non incappare nei fan di Jim Morrison, poi fare una capatina davanti alla sfinge scolpita da Jacob Epstein e raccomandarsi alla buon’anima di Oscar Wilde a cui la scommessa – tutt’altro che pascaliana – sarebbe probabilmente piaciuta; dopodichè, percorrendo Avenue Trasversale in direzione sud, fermarsi un attimo per un inchino commosso alla tomba in marmo nero di Proust e seguitare dritti, senza farsi distrarre da Apollinaire ché proprio lì bisogna svoltare a destra e poi proseguire fino alla divisione 26 armati di Black & Decker (magari un po’ più su, nella divisione 96, Modigliani sorride per l’armamentario beffardo) e soprattutto armati di fiducia.
L’appuntamento è per stanotte, ore 00,30 dove inizia il muro dei federati in rue des Rondeaux.
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