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"Tranquillo, fratello!" di Alex Wheatle

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Di Claudia Verardi

Tranquillo, fratello!, di Alex Wheatle, è un bel libro uscito nel giugno 2009 per Edizioni Spartaco che racconta la storia di Dennis Huggins, un detenuto ventitreenne inglese di origini giamaicane che, dal carcere di Pentonville, ripensa agli anni della sua vita di adolescente che lo hanno portato dietro le sbarre.
Dennis rivive come in un flashback le storie criminali, il desiderio di vendicare l’amico morto, l’amore per la sua ragazza. E poi le esperienze di convivenza (che pare impossibile) tra gruppi etnici diversi, la religione vissuta come nuova – e pericolosa – moda per placare una rabbia interiore e la realtà sociale in cui disagio e degrado purtroppo, qualche volta, sono legge. Siamo a Brixton, violento e suggestivo quartiere periferico londinese già celebrato da Geoff Dyer come village locale e la vita di Dennis si snoda tra momenti amorosi, amicizia, teppismo e voglia di crescere. Una lettura sociologica di questo libro lo inserirebbe nel genere del racconto di formazione, anche se lo stile e i contenuti sono, forse, troppo coraggiosi per il tipo di narrativa.
Wheatle scrive con uno stile ricco, incalzante e molto forte, e ha un modo di raccontare onesto e diretto, che punta a tratteggiare una storia che nasce dalla sostanza delle cose osservate senza inutili elucubrazioni e cavilli mentali. Dai suoi libri sono stati tratti opere teatrali e film che hanno raccontato gioie (poche) e dolori (molti) di un mondo giovanile che vive la periferia di una grande metropoli. L’autore, membro dell’English Pen, porta avanti la sua attività di lotta alle droghe, alla violenza giovanile e alla disoccupazione con numerosi workshop e laboratori nelle carceri, oltre a tenere corsi di scrittura creativa. Alcuni suoi libri sono adottati nelle scuole inglesi.
Il romanzo va avanti a ritmo di reggae e hip hop e considerazioni sulla complessità sociale di Londra, una delle città europee più internazionali, crocevia ormai da tempo di culture, religioni e stili di vita diversi e spesso di difficile convivenza. E in questo romanzo c’è tutto: disordini, banlieue, politiche dell’immigrazione, ma anche sentimenti, sensibilità, voci ed emozioni che qualche volta rimangono dolorosamente inespressi. Un racconto interessante e geniale che vale la pena di leggere perché riguarda anche noi e del quale ho voglia di riportare un passaggio: Fu circa in quello stesso periodo che smisi di avere amici bianchi. Niente a che vedere con questioni razziali. È solo che abbiamo gusti musicali diversi. Alla maggior parte dei bianchi piacciono gli Oasis, i Coldplay e cagate del genere, si sa, musica che non ti richiede di alzarti in piedi e ballare. A loro piace quella stronzata di suonare la chitarra per finta. Noi amiamo l’R&B;, l’hip hop e il reggae… il nocciolo della questione è che la maggior parte dei fratelli bianchi che conosco non sa ballare, proprio come la maggior parte dei neri che conosco non sa nuotare.
Da traduttrice voglio sottolineare l’ottima traduzione della collega Francesca Orlati, che ho avuto il piacere di incontrare insieme all’autore (e all’editore) a Bologna qualche mese fa e che, con la sua trasposizione, ha saputo ricreare perfettamente la voce di Wheatle, ritrovando le stesse pennellate di colore e la stessa energia. Solo un piccolo appunto: avrei preferito il titolo originale, “Dirty South”, Sporco Sud.


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