Scrivere un romanzo (II) – Lezione 3.b Il personaggio principale
Autore: Morgan PalmasLun, 12/10/2009 - 15:12
Nella terza lezione del primo corso vi avevo chiesto di pensare al personaggio principale. Una prima modalità per inoltrarsi nella creazione delle basi di un romanzo. La cosa più semplice da fare è immaginare Tizio o Caio con determinate caratteristiche.
Appare evidente - cerchiamo pian piano di dare un senso di complessità maggiore al secondo corso - che la necessità di un unico personaggio principale non è esclusiva, potrebbero essere due i personaggi principali oppure un gruppo di persone, una famiglia, una classe di alunni. Il senso della parola “principale” inerisce alla possibilità di assorbire uno sviluppo all’interno delle unità narrative che possa risultare solido e vigoroso: quantità e qualità di presenze. Un carattere che evolve; alcune azioni che si ripetono; vicende in cui si ritorna spesso a quel nome o gruppo di persone.
Il “principale” scatena conseguenze, ricordi, emozioni, pensieri, azioni, psicologie, in una parola: l’intreccio. Senza il personaggio o i personaggi principali viene meno l’intreccio, o meglio, non potrebbe essere attuato. Tutto un romanzo gira attorno a qualcuno che è in primo piano. Per tali motivi il primo piano va sviluppato con attenzione, dai segni più noti ai dettagli più nascosti.
Per facilitare la spiegazione ora dirò sempre “un personaggio”, ma tenete sempre presente quanto detto finora.
Un personaggio “è qualcosa” e “rivela qualcosa”. Il più delle volte i due aspetti viaggiano su temporalità differenti. Il lato “è qualcosa” lo crea l’autore della storia, il quale scopre durante la scrittura o almeno nella fase precedente la scrittura le caratteristiche del personaggio; si tratta poi di rendere definitivo nelle pagine l’altro aspetto: “rivela qualcosa”.
La scoperta e la manifestazione.
Esempio concreto. Supponiamo di voler descrivere la paura di una ragazza: il giudizio delle persone. Non vi sarebbe nulla di più scontato e triste in una storia scoprire tale timore in forma didascalica, cioè scritto come se fosse una lista della spesa. L’arte del romanziere esplode nella sua forza quando il lettore deduce le preoccupazioni della giovane attraverso azioni, pensieri, situazioni, mai in forma diretta.
“Silvia aveva un timore: il giudizio della gente”, ecco, una frase simile spegne la curiosità del lettore, perché deve leggere ancora la vicende di Silvia se già è sicuro di ciò? La curiosità va alimentata, non spenta.
Ora siete concentrati su “è qualcosa”, siate già certi che “rivela qualcosa” andrà pensato, non traslato. Una prima distinzione.
Una seconda distinzione. Il lato “è qualcosa” potrebbe modificarsi, anzi vi consiglio già di immaginare qualche trasformazione. Un ragazzo sano che perde l’uso della mano a causa di un incidente; una donna abbandonata dal suo uomo che inizia a fumare da adulta; un anziano che dopo una vita di lavoro si mette a dipingere; una ragazza che in seguito ad alcune situazioni diventa razzista, mentre prima era tollerante delle diversità; gli esempi potrebbero essere innumerevoli.
Nel pensare il personaggio principale cominciate a visualizzarlo e a prevedere qualche possibile cambiamento, annotate tutte le idee che vi sovvengono alla mente, ci lavorerete poi con calma.
Siate originali!
Scrivere soltanto che Marco ha i capelli biondi non è originale.
Marco ha i capelli biondi, ricci e lunghi all’altezza delle spalle. L’età gli sta dando qualche capello bianco, li cura ogni giorno, li tocca con la mano sinistra spesso, se li taglia da solo ogni mese, aggiungete particolari, abitudini, ci siamo intesi.
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