Recensione: "Fenicotteri in orbita" di Philip Ridley
Autore: AnonimoLun, 12/10/2009 - 11:14
Di Geraldine Meyer
Ho sempre pensato che l'incontro con un libro fosse, per tanti versi, simile all'incontro con una persona. Al di là della fisicità, le emozioni e i pensieri, le fantasie e le proiezioni, sono esattamente quelle di un incontro in carne ed ossa.
Incontrare la raccolta di racconti "Fenicotteri in orbita" di Philip Ridley edito da Salani è stato per me come incontrare una persona sgradevole ma necessaria. La sgradevolezza non riguarda né la scrittura né la qualità dei racconti sia ben chiaro. E' semmai una sensazione di sottofondo che mai ti abbandona durante la lettura. Meno glaciali dei racconti di Carver, senza l'amara ironia di quelli di Checov, i racconti di Ridley ti si presentano come un campo di battaglia pieno di macerie. E le macerie sono le vite dei protagonisti. Vite che non smettono di scorrere pur impantanate nel fango da loro stessi prodotto. E parlo di fango non nell'accezione di sporco ma di torbido. C'e', tra le righe e le parole di questo straordinario scrittore londinese, una persistente ambiguità che non viene spazzata via neanche dalla chiarezza dei destini che vanno raccontando. Si capisce sempre, in ciascuno di essi, quale sia la traccia che Ridley sta suggerendo, eppure mai si riesce a farsi un'idea precisa e netta degli uomini e delle donne di cui racconta. Ad una prima lettura viene da pensare che i protagonisti dei suoi racconti siano degli sconfitti, sempre un pò ai margini. Invece la sua scrittura non solo ci spiazza, costruendo storie impossibili da leggere da un solo punto di vista, ma ci consegna personaggi tutt'altro che marginali; uomini, donne, bambini immersi come non mai nella vita. Ridley ci fa capire come la struttura di un racconto sia estremamente complessa nella sua ritmica, nella sua costruzione.
Poche volte mi e' capitato di leggere qualcosa di così sorprendentemente simile all'esistenza reale e prosaica che tutti ci riguarda. E la normalità della cattiveria, dei rapporti umani stanchi e sfilacciati diviene immensa nella sua pochezza. Ma anche straordinaria. Notevole l'alternanza di racconti brevi, brevissimi (talvolta poche righe) ad altri un pò più lunghi. Quasi ad accompagnare, anche a livello di impaginazione, i cambiamenti di ritmo e di respiro dei pensieri e delle situazioni in cui si muovono i personaggi.
Non saprei dire quali di questi racconti sia il meglio riuscito; ciascuno di loro ha una personalità diversa pur nella continuità della cifra stilistica dello scrittore. Leggete, per esempio, il primo, che da anche il titolo all'intera raccolta. La scoperta della propria omosessualità da parte di uno dei protagonisti, avviene attraverso un odio feroce verso il proprio oggetto del desiderio, così distante e apparentemente disinteressato. Papa' Rasoio, così si chiama questo protagonista, sconvolto da quello che prova, non puo' far altro che affermare la propria esistenza attraverso l'eliminazione di ciò che non può diventare suo. Allora racconta una bugia il cui ricordo lo perseguiterà tutta la vita. Passiamo all'ultimo racconto intitolato "Continuità” e ci accorgeremo che, seppur attraverso una storia completamente diversa, anche qui c'è un uomo, che per tutta la vita si e' scontrato con l'esempio di un fratello ricco, di successo, amatissimo dalla madre, un uomo a cui riusciva facile tutto ciò che faceva. Un'immagine che si e' insinuata in ogni piega della sua vita. Quando le cose, come accade, si capovolgeranno, il fratello "fallito" si troverà nella posizione del "vincente". In realta' nessuno ha vinto o perso. Ciascuno vince e perde insieme. Ma non possiamo non notare come anche in questo racconto l'affermazione di se' non riesca ad arrivare se non attraverso la scomparsa, reale o metaforica, di quello che riteniamo essere un ostacolo. Che poi lo sia davvero o meno perde di importanza. Perchè ciò che accomuna la disperazione dei personaggi di Ridley, tutti, nessuno escluso, e la loro incapacità di staccarsi da cioòche vivono per restare impantanati nella percezione che essi hanno delle vicende che li riguardano.
Le cose non sono le cose, diceva anche il titolo di un libro di qualche anno fa, le cose sono ciò che noi percepiamo e il modo in cui lo facciamo. E questo modo, secondo lo scrittore, ci rimane dentro dall'infanzia, sempre. Nei racconti più lunghi, quelli in cui Ridley si concede più tempo per descrivere i personaggi in modo complesso e sfumato, la narrazione si snoda attraverso veri e propri frammenti quasi cinematografici, di continui sbalzi temporali. I protagonisti sono ripresi, in continua alternanza, in immagini della loro vita di bambini e poi di adulti. Poi ancora bambini e così via. E le radici del loro disagio, del loro divenire adulti carichi di gesti spesso stanchi e senza slanci, nascono da li', come e' inevitabile che sia. Come se ciascuno di loro, e infondo ciascuno di noi, non potesse fare a meno di portarsi addosso lo sguardo sul mondo del bambino che è stato, con le violenze anche solo verbali, subite come un'ingiustizia perenne. La sensazione che ti si appiccica addosso con la lettura di questi racconti è quella di un'infanzia infinita. Ma non un'infanzia dorata, piena di gioia e campanelli che suonano. No. Semmai una fase della vita tragica e difficilissima, ricca di scoperte non sempre piacevoli, certo avventurose, ma nell'accezione tragica del termine. In questi racconti non c'è redenzione e in nessuno di essi i conti tornano, non nel senso di un riequilibrio tra ciò che si è perso e ciò che si è guadagnato. Se tornano lo fanno solo per sottolineare il difficile "mestiere di vivere".
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