L'arte del camminare. Il camminare dell'arte. La scrittura come pratica dello spazio
Autore: Paolo MelissiMer, 14/10/2009 - 09:39
Di Paolo Melissi
Tra il 1926 e il 1940, il giapponese Santoka Taneda percorse a piedi 28 mila miglia in viaggi di pellegrinaggio. Camminò e compose haiku.
Taneda Shoichi, detto Santoka, nacque nel 1882. Dopo vicissitudini famigliari, alcolismo e lavori editoriali mal condotti, Taneda finì in un tempio Zen, lo Hoonji, accolto dall’abate Gian Mochizuki, che gli offrì di restare. Dopo un anno Taneda venne ordinato monaco e andò a vivere in solitudine in un piccolo tempio nei pressi di Kumamoto. Nel 1926 intraprese il primo pellegrinaggio, camminando per quattro anni e scrivendo haiku. Dal 1932 al 1938 intraprende una serie di viaggi a piedi, di cui uno della durata di otto mesi, raggiungendo l’estremità settentrionale del Giappone.
Un giorno i surrealisti Aragon, Breton, Morise e Vitrac partirono per una "deambulazione". Da Parigi andarono in treno a Blois, e da lì continuarono a piedi fino a Romorantin. Camminarono, parlarono, discussero, osservarono per diversi giorni, come in "un'esplorazione ai confini tra la vita cosciente e la vita di sogno".
Nell'estate del 2006 Enrico Brizzi e altri viaggiatori, intrapresero la prima parte del viaggio a piedi lungo alla Via Francigena, da Canterbury a Roma. Da quel viaggio nacque il libro Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro (Mondadori).
È da un tempo lontano che l’uomo cammina esplorando e, contemporaneamente, costruendo lo spazio (prima solo naturale) che lo circondava. Più recentemente, da circa un secolo, ha incominciato a usare il cammino come metro di un paesaggio urbano in rapida trasformazione. All’esplorazione della Natura ignota si è andata sostituendo l’esplorazione della città, della metropoli, dei tessuti urbani estesi che costituiscono il panorama quotidiano di un numero sempre più elevato di persone.
Ma il camminare non esaurisce la sua funzione unicamente nel condurre l’uomo in lungo e in largo nel territorio in cui abita, seppure per esplorarlo, per renderlo noto a sé, per prima cosa. La deambulazione (più o meno organizzata, ritualizzata ma anche estemporanea, casuale o frutto del capriccio e dell’improvvisazione), infatti, costituisce un potente strumento di lavoro su di sé e, contemporaneamente, e del sé nello spazio. Se l’esplorazione inizia sull’asfalto di una città o sulla terra battuta di un sentiero, questa continua in una dimensione che per comodità si potrà definire non solo, o non semplicemente, interiore, ma anche antropologica, o sociologica.
Il tramite, il legame tra le due dimensione è costituito e rappresentato dalla scrittura. O, almeno, il territorio su cui si intende muovere in questo caso è quello dell’espressione artistica, della scrittura, della letteratura che, di volta in volta, sanciscono, attraverso le possibili declinazioni, questa o quella funzionalità, questo o quell’obiettivo più o meno cosciente. È attraverso l’esplorazione di romanzi, racconti, diari di viaggio, resoconti e memorie, infatti, che l’esplorazione della dimensione spaziale, e i luoghi in essa contenuta, prende corpo e assume un senso, un orizzonte, un contenuto.
Qui si ripercorreranno, senza voler peraltro arrogarsi il merito di ricostruire una “storia del camminare letterario”, i momenti salienti del binomio scrittura/cammino, cercando di evidenziarne le “tappe” fondamentali e individuando le tematiche e le tecniche di maggiore rilievo.
Tra il 1926 e il 1940, il giapponese Santoka Taneda percorse a piedi 28 mila miglia in viaggi di pellegrinaggio. Camminò e compose haiku.
Taneda Shoichi, detto Santoka, nacque nel 1882. Dopo vicissitudini famigliari, alcolismo e lavori editoriali mal condotti, Taneda finì in un tempio Zen, lo Hoonji, accolto dall’abate Gian Mochizuki, che gli offrì di restare. Dopo un anno Taneda venne ordinato monaco e andò a vivere in solitudine in un piccolo tempio nei pressi di Kumamoto. Nel 1926 intraprese il primo pellegrinaggio, camminando per quattro anni e scrivendo haiku. Dal 1932 al 1938 intraprende una serie di viaggi a piedi, di cui uno della durata di otto mesi, raggiungendo l’estremità settentrionale del Giappone.
Un giorno i surrealisti Aragon, Breton, Morise e Vitrac partirono per una "deambulazione". Da Parigi andarono in treno a Blois, e da lì continuarono a piedi fino a Romorantin. Camminarono, parlarono, discussero, osservarono per diversi giorni, come in "un'esplorazione ai confini tra la vita cosciente e la vita di sogno".
Nell'estate del 2006 Enrico Brizzi e altri viaggiatori, intrapresero la prima parte del viaggio a piedi lungo alla Via Francigena, da Canterbury a Roma. Da quel viaggio nacque il libro Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro (Mondadori).
È da un tempo lontano che l’uomo cammina esplorando e, contemporaneamente, costruendo lo spazio (prima solo naturale) che lo circondava. Più recentemente, da circa un secolo, ha incominciato a usare il cammino come metro di un paesaggio urbano in rapida trasformazione. All’esplorazione della Natura ignota si è andata sostituendo l’esplorazione della città, della metropoli, dei tessuti urbani estesi che costituiscono il panorama quotidiano di un numero sempre più elevato di persone.
Ma il camminare non esaurisce la sua funzione unicamente nel condurre l’uomo in lungo e in largo nel territorio in cui abita, seppure per esplorarlo, per renderlo noto a sé, per prima cosa. La deambulazione (più o meno organizzata, ritualizzata ma anche estemporanea, casuale o frutto del capriccio e dell’improvvisazione), infatti, costituisce un potente strumento di lavoro su di sé e, contemporaneamente, e del sé nello spazio. Se l’esplorazione inizia sull’asfalto di una città o sulla terra battuta di un sentiero, questa continua in una dimensione che per comodità si potrà definire non solo, o non semplicemente, interiore, ma anche antropologica, o sociologica.
Il tramite, il legame tra le due dimensione è costituito e rappresentato dalla scrittura. O, almeno, il territorio su cui si intende muovere in questo caso è quello dell’espressione artistica, della scrittura, della letteratura che, di volta in volta, sanciscono, attraverso le possibili declinazioni, questa o quella funzionalità, questo o quell’obiettivo più o meno cosciente. È attraverso l’esplorazione di romanzi, racconti, diari di viaggio, resoconti e memorie, infatti, che l’esplorazione della dimensione spaziale, e i luoghi in essa contenuta, prende corpo e assume un senso, un orizzonte, un contenuto.
Qui si ripercorreranno, senza voler peraltro arrogarsi il merito di ricostruire una “storia del camminare letterario”, i momenti salienti del binomio scrittura/cammino, cercando di evidenziarne le “tappe” fondamentali e individuando le tematiche e le tecniche di maggiore rilievo.
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