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Intorno a Marziale

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Di Michele Ruele

Una volta mi sono messo a studiare Marziale che mi sta anche simpatico, mi ricorda mio zio quando giocava a tressette nel dopolavoro Enal, mio zio al dopolavoro diceva delle cose come Marziale, sul serio, e sono andato in libreria e mi sono detto la Bur no costa poco, la Garzanti è vorrei-ma-non-posso e allora sono andato sul sicuro ho preso la Utet, collana classici latini. In una botte di ferro, ho pensato. Però ostia c’è questa introduzione che a parte che è scritta microscopica ma Benedetto Croce era più moderno, per dire. Però forse c’ha ragione lui, quello che dice, l’introduttore, il prefatore, il latinista insigne. Che poi i latinisti altalenino nella loro trista vita fra l’atarassia e i vizi più turpi e depravati e morbosi questa è un’idea che non so perché ma ce l’ho in testa da un pezzo e non me la schioda nessuno. E allora anch’io che c’ho la mia bella competenza di latinismo ho delle depravazioni innocenti, tipo che le introduzioni le leggo dall’inizio alla fine e in linea di massima tendo a crederci a quello che ci scrivono, anche se certe volte non è mica detto, per dire.
Ci sono un paio di paragrafi di questa prefazione della preziosa edizione della Utet (2008, ristampa dell’edizione 1980) che mi hanno letteralmente affascinato, non riesco più a staccarci gli occhi e adesso li riscrivo qui per testimonianza delle competenze dei latinisti, in generale e anche per dire che certe volte nelle prefazioni o introduzioni ci trovi certe cose che magari sembrano perfino più perfezionate del libro che avevi comprato per leggerlo o come me per studiare Marziale, nel senso mimetico certe volte ma questa volta in senso opposto, che io credo che il signor Giuseppe Norcio, il prefatore, o l’hanno costretto e lui non voleva ma l’ha fatto per dovere o per fare un favore a un altro grosso latinista tipo Italo Lana, che gli ha anche dedicato la sua prefazione, loro fanno così fra insigni latinisti che si fanno le dediche e dei piaceri incrociati, oppure che in questa maniera qua ha dimostrato tutta la sua competenza di insigne latinista.

La crudezza del linguaggio e il gran numero di luoghi osceni ha danneggiato – e non poco – la fama di Marziale. Il poeta ci avverte in vari luoghi che i suoi epigrammi sono lascivi, ma che la sua vita è proba – lasciva est nobis pagina, vita proba.

Solo che il prefatore secondo me non ci crede sul serio e dice che anche per dire Catullo e Ovidio o Aristofane hanno fatto dei versi lascivi, ma erano più eleganti e che se leggi Aristofane è più elegante e non è come se guardi una donna nuda con delle intenzioni sessuali o lascive, ma come se guardi la Venere di Giorgione alla Galleria di Dresda, che in effetti non è un atto sessuale se la guardi. Invece Marziale no, è proprio sesso. E non va bene, sostiene il prefatore dell’edizione della Utet collana classici latini, così Marziale si è rovinato con le sue mani.

E poi c’è un pezzo della insigne prefazione degli Epigrammi di Marziale edizione Utet che io ci resto lì se lo leggo, e mi viene molta voglia di andare a vedere che epigrammi di Marziale sono questi qua, perché fra il resto vorrei anche fare il confronto con certi componimenti estemporanei che faceva mio zio durante il tressette al dopolavoro Enal, per dire sul culo di certi suoi amici meccanici in pensione lì al tavolo del tressette, solo che gli epigrammi di mio zio non sono restati scolpiti nel bronzo del monumento cartaceo ma si sono inceneriti nella caducità della aleatoria produzione orale.

Ciò che più disgusta, in Marziale, oltre alla quantità dei carmi osceni, è la qualità degli atti contro natura che il poeta ci descrive. Ci passano davanti uomini abbruttiti dal vizio e incalliti nella loro degradazione morale: sodomiti, pederasti, succhiatori, leccatori, invertiti; esseri immondi per i quali non sappiamo se proviamo più disprezzo o pietà. Gli uomini sono in maggior numero, ma non mancano le donne.

Penso che il prefatore ha una notevole sicurezza nella distinzione analitica dei vizi pederastici e mi meraviglio perché ci vuole anche del suo bello a distinguere non so fra sodomiti e pederasti o fra leccatori e invertiti, che non è mica che tutti si scoprono esperti così d’emblée. Comunque io li leggo con la naturalezza che mi garantisce una certa cultura liberale per cui il sesso fa parte dell’ordine cosmico, punto e basta e quelli che si fanno dei problemi secondo me c’hanno delle perversioni nascoste rivolte unicamente a celare sotto un velo certe cose che gli ribollono dentro a loro magari di più che agli altri, magari per degli scrupoli di origine religiosa o anche morale, per dire, ma non c’entra niente lo sanno tutti.

Ma forse sono io che la morale non la capisco bene, perché il prefatore dice anche a un certo punto che è colpa della società, alla fin fine e io invece ho sempre pensato che il sesso fosse una questione individuale. Dev’essere l’aria del sessantotto che si è infilata anche nei penetrali dei dipartimenti di filologia classica delle università, questo dare la colpa alla società, forse, non fosse che in fondo in fondo lui dice anche che i tempi sono decadenti, una volta sì che c’era la civiltà e questo non è molto progressista, per dire.

Indubbiamente la società nella quale questo poeta visse ha la sua parte di responsabilità: non dobbiamo dimenticare che gli anni centrali del I secolo d.C. sono gli anni di Messalina, di Nerone, di Tigellino: quando Marziale scriveva questi campioni del vizio erano già morti, ma non erano morti i vizi da essi praticati. E allargando il concetto, possiamo dire che una parte di responsabilità ricade su tutta la società greco-romana, così diversa, sotto questo aspetto, dalla nostra (mi riferisco naturalmente alla società che abbiamo visto da ragazzi, quando non si era ancora abbattuta sugli uomini l’attuale ondata di violenza e d’immoralità). L’uomo antico sia greco che romano aveva maggiore libertà in materia sessuale dell’uomo moderno, educato da secoli e secoli di cristianesimo.

Ma, per dire, allargando il concetto ci sono certi scrittori che sono immorali punto e basta come D’Annunzio, per dire, o come Moravia, per dire, e certi scrittori che sembrano morali ma sono immorali come non so Sant’Agostino da giovane, per dire, o San Girolamo negli inizi delle vite delle sante, e certi scrittori che sembrano immorali ma sono morali come il nostro Marziale, dice finalmente il prefatore della collana dei classici Utet, da insigne latinista che è e che mette tutto a posto che non restino delle macchie di immoralità sul libro che uno è che lì che si accinge a cominciare di leggere, e che pensa cos’è che mi tocca leggere aspetta che prima me lo faccio spiegare da un insigne e esperto latinista. Che io a parte certe questioni di metrica e di sintassi del latino di età imperiale, per dire, non è che sapevo proprio esattamente la differenza fra un sodomita e un pederasta, o non ci avevo mai pensato e non è che avevo proprio mai realisticamente immaginato dei leccatori e dei succhiatori come dice il distinto prefatore. E non è che perché uno è osceno è anche immorale, sono solo i moralisti squallidi a ridurre la questione a certe misure grossolane.

Anzi, sotto questo riguardo uno potrebbe sostenere che Marziale, quando è osceno, non è affatto immorale. A differenza di Ovidio, D’Annunzio e tanti romanzieri moderni che possono spingere al vizio, perché seducono il lettore con le loro descrizioni voluttuose e procaci, il poeta latino allontana dal vizio, perché mostra i lati più disgustosi e ripugnanti di esso.

Volendo, c’è la cosa più divertente e sono le traduzioni del grande scrittore Guido Ceronetti degli epigrammi di Marziale (La Finestra editrice, 100 euro), ma i latinisti non lo considerano molto, lo citano ma così per curiosità, e io volevo invece dei pareri di latinisti insigni e mi sono detto, con la Utet vado sul certo.

E siccome ho cercato qualche esempio, ne ho trovato anche uno bello che adesso ricopio qua nell’originale latino e nella versione del competente latinista prefatore dell’edizione Utet che ho comprato invece della Bur e della Garzanti, che secondo me, per dire, non hanno delle prefazioni così competenti e interessanti e eleganti.

Libro 9 carme 69:
Cum futuis, Polycharme, soles in fine cacare. / Cum pedicaris, quid, Polycharme, facis?


O Policarmo, quando finisci di fottere, sei solito cacare. / Dimmi, o Policarmo, dopo che lo prendi in quel posto, cosa fai?

Ciò detto in senso analitico, come farebbe l’insigne latinista prefatore, che qualcosa ho imparato anch’io, dopo queste belle professioni di eleganza e di stile, insomma il senso alla fine è che una cosa è prenderla nel didietro, analiticamente e scientificamente parlando, un’altra è metterla, sempre professionalmente parlando. Che poi per i romani era una questione di sostanza, e credo anche per noi moderni, per quanto si possa pensare che siamo in decadenza, dei nani sulle spalle degli altri giganti, delle mosche cocchiere.
Che poi è lo stesso di quel che diceva mio zio al tavolo di tressette del Dopolavoro Enal, ma lui non ci ha fatto dei libri con la prefazione insigne.


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