Intervista a Gianpaolo Borghini
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho cominciato a scrivere in età tardiva, rispetto a quello che si sente in giro. Era il 1997 e avevo quasi ventinove anni. Posso dire che le cause scatenanti sono state probabilmente tre: la consapevolezza che il mio diploma in violino era stato completamente inutile; una storia che era nata nella mia mente e premeva per essere scritta; la scoperta di un autore contemporaneo molto famoso, ma che mi ha fatto pensare che se scriveva lui potevo tentare anch’io. Così è nato il mio primo racconto.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Di solito quello che scrivo inizia da un’immagine: uno o più personaggi che si muovono su uno sfondo. È per me impossibile dire da dove vengono queste immagini. Se si possono definire ispirazione o, meglio, istinto creativo non so proprio. Poi, se queste immagini si radicano dentro di me, se i personaggi cominciano a prendere un nome, un aspetto, un passato e un futuro, allora comincio a scrivere. E questo è senz’altro un processo più consapevole e razionale. Se il tutto si ferma qui, l’immagine si sviluppa in un racconto. Se, invece, dopo una prima immagine ne arrivano altre, correlate fra loro, la narrazione diventa qualcosa di più lungo e articolato. Senz’altro direi che il mio modo di produrre scrittura è equidistante fra l’istinto e la razionalità. Almeno è stato così fino ad ora, per tutto quello che ho scritto.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Per me è impensabile avere un momento nella giornata fisso e definito per scrivere. Il lavoro, la famiglia, i figli mi impediscono di averlo, ma non so se mi piacerebbe poterlo fare. Di solito scrivo nei momenti più strani, sostanzialmente cerco di fissare le idee quando mi vengono. Il Tango dell’Angelo Perduto, per esempio, è stato scritto in buona parte su un taccuino in una sala d’aspetto, mentre aspettavo mio figlio finire il corso di tennis due volte la settimana per nove mesi. Poi, appena possibile, riscrivevo gli appunti e li sviluppavo al computer. Quando mio figlio ha cambiato abitudini sportive la mia creatività ne ha sofferto. Comunque mi capita spesso di fermarmi a fissare sulla carta quello che mi passa per la mente. Ho sempre un taccuino con me, anche se adesso giro con un computer portatile per lavoro e, qualche volta, se è possibile, sempre mentre aspetto qualcuno, magari in macchina, scrivo lì direttamente quello che mi passa per la mente.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non ho tic o fissazioni particolari quando scrivo o mi sto accingendo a farlo. Anche per quello che ho detto prima, non me li posso permettere. Si raccontano aneddoti a volte incredibili, legati a grandi nomi del passato. Io ho solo bisogno di silenzio. Mi piacerebbe ascoltare musica mentre scrivo, so che molti lo fanno, ma non ci riesco. Almeno durante la prima stesura di qualcosa devo rimanere da solo con la storia che racconto. Poi, durante le revisioni, le correzioni, le rivisitazioni qualche volta riesco ad ascoltare qualcosa di ritmico e non troppo coinvolgente. Mi riesce meglio con qualcosa che conosco bene. Ultimamente ha funzionato il concerto per violino di Philip Glass: una vera, ossessiva, ripetizione di figure ritmiche uguali, come solo certa musica di Glass può essere. Questa ripetitività mi ha lasciato la mente abbastanza libera per scrivere, ma, ripeto, mai quando una storia la scrivo per la prima volta.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Io sono un lettore onnivoro e compulsivo, che legge di tutto, d’impeto. In certi momenti fagocito pagine su pagine e in altri, abbastanza rari veramente, non riesco a leggere nemmeno Cronaca Vera. Poco più di un mese fa avrei risposto diversamente a questa domanda. Avrei parlato di Julio Cortàzar, il grande scrittore argentino, di Jorge Luis Borges, ma anche di Saramago, perché il fantastico mi piace molto. I pochi che hanno avuto modo di leggere i miei libro lo sanno. Ma anche Philip Roth e Don DeLillo, facevano parte del mio personale pantheon letterario. Ma da qualche giorno ho finito Infinite Jest di David Foster Fallace. L’ho letto senza aver mai letto niente di lui, come un tossico che inizia direttamente dall’eroina o dal crack. Ho trovato questo libro geniale. Per me è ancora impossibile riconoscere le sicure implicazioni che avrà su quello che scriverò. Posso dire che al termine delle quasi milletrecento pagine, note comprese, di storie all’apparenza confusa, mi è venuto un grande desiderio di ricominciare da capo. Fortunatamente, prima che lo “scherzo infinito” mi prenda, mi ha salvato l’ultimo libro di Giuseppe Genna, Le Teste. Ho fatto come consiglia uno dei personaggi di Wallace: per non sentirsi dipendente da qualche sostanza, basta cambiare spesso la sostanza. Però anche Genna è uno dei miei scrittori preferiti. Posso dire che la penso come lui su molte cose, anche senza poter nemmeno sfiorare la sua prosa, che trovo meravigliosa. Apprezzo anche Massimo Carlotto, leggendo il suo romanzo Le Irregolari ho trovato la spinta di scrivere la mia storia argentina Il Tango dell’Angelo Perduto. Ma sono molti, in realtà, gli scrittori che amo, da cui ho preso qualcosa, non necessariamente finito nella scrittura. Da Dante a Marguerite Yourcenar da Michel Houellebecq a Bulgakov e tanti, tanti altri.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Per quanto mi riguarda l’avvento di internet è stato determinante. Senza la rete, probabilmente, non scriverei o scriverei in modo totalmente diverso. Dal primo momento ho usato internet per far leggere quello che scrivevo a chiunque fosse disponibile a farlo. Dal servizio di Lettura Incrociata dell’insostituibile Rifugio degli Esordienti ai Quindici della Wu Ming Foundation, di cui ho fatto parte. La rete mi ha consentito di entrare in contatto diretto con intelligenze che mai avrei potuto incrociare senza di lei. Mi interessano i blog letterari e trovo molto intrigante quello che sta succedendo su Facebook. Lì molti, noti o meno noti, propongono testi, suggestioni, consigli di lettura, che spesso trovo di molto interesse. Diciamo che internet azzera le distanze, consentendo interrazioni un tempo impossibili, immolando a questa facilità di contatto forse un po’ di profondità, ma anche questo non succede sempre. Sulla rete ho incrociato molti scrittori interessantissimi, da Remo Bassini a Saverio Fattori da Demetrio Paolin a Franz Krauspenhaar o Tommaso Labranca, senza di questa molto difficilmente avrei saputo di loro. Senz’altro, senza la rete, loro non avrebbero mai saputo di me. Io, come compositore di testi scritti, ho avuto un qualche senso solo in quanto esiste internet.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Non so se scrivere mi ha reso migliore. Credo che leggere lo abbia fatto e la scrittura potrebbe essere un’estensione di questa passione. Per parlare ancora di dipendenza, sono convinto che la lettura sia la sola dipendenza positiva per l’essere umano. Perché la lettura dà dipendenza, almeno per me è così. La scrittura, però, mi è servita anche per esplorare un mondo lontano come l’Argentina e il buio della dittatura militare, o un paese della provincia emiliana, con tutte le sue dinamiche. Quindi, intendendo per letteratura sia la lettura che la scrittura, posso dire che sicuramente ha inciso profondamente in quello che sono e che, forse, mi ha reso più consapevole di me stesso e degli altri. Mi ha fatto rendere conto che esiste qualcun altro, là fuori e questo non può che essere positivo. Io mi illudo ancora molto che la letteratura serva a rendere migliori gli uomini, anzi, ci credo proprio.
La ringrazio e buona scrittura.
www.myspace.com/gianpaoloborghini
Gianpaolo Borghini nasce a Ferrara nel 1968.
Nel 2008 ha pubblicato i suoi primi romanzi: Il Tango dell’Angelo Perduto con La Riflessione-Davide Zedda Editore di Cagliari e Il Bambino dei Miracoli con Giraldi Editore di Bologna.
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