Intervista a Flavia Amabile
Autore: Morgan PalmasGio, 29/10/2009 - 12:14
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho iniziato a scrivere intorno ai cinque anni e non ho mai più smesso. Nessun caso fortuito, scrivere fa parte di me.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
A metà. Penso che l'istinto creativo sia indispensabile per evitare di compilare la lista della spesa invece della pagina di un libro, ma che la razionalità consapevole sia altrettanto necessaria per evitare di produrre un testo capace di parlare solo a chi lo scrive, del tutto privo di senso per gli altri.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Sono di quelle che pensano che la scrittura abbia bisogno di disciplina. Scrivere un libro significa viverlo, per viverlo devo avere un contatto quotidiano con i personaggi. Posso anche non scrivere una riga ma devo in qualche modo occuparmi di loro per continuare a raccontare la loro storia il giorno seguente.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Scrivo di sera, molto tardi, è l'unico momento della giornata in cui posso liberarmi di me e occuparmi dei personaggi di un libro. Mi piace avere un posto caldo se fuori fa freddo. Non faccio uso di stupefacenti, non fumo, non bevo alcolici e nemmeno caffé. Mi riempio di tè o di cioccolata e provo a non addormentarmi davanti al computer.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Li considero dei mostri sacri, scrittori con la 's' maiuscola, nulla a che vedere con me.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
No, non penso che esista più l'idea di un luogo letterario, vale a dire di una sorta di scuola capace di creare un gruppo coeso. Oggi esistono alcuni scrittori romani, ad esempio, ma che non hanno nulla in comune tra loro, non si frequentano, non hanno occasioni di collaborazione. Lo stesso vale per i milanesi o i meridionali.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
La scrittura è parte di me, non immagino la mia vita senza un racconto costante di quello che vedo o che provo. Scrivo per un quotidiano, raccontare la società di oggi è il mio lavoro. Anche i miei libri raccontano la società di oggi, descrivono luoghi, popoli o vite spesso sconosciute, ma con una nota personale in più, senza che io debba fare un passo indietro come si chiede a un giornalista.
La ringrazio e buona scrittura.
Flavia Amabile è giornalista del quotidiano La Stampa, scrive di attualità. Ha pubblicato diversi libri di storie di viaggio come 'I baroni di Aleppo' e 'Ultimi' (La Lepre Edizioni).
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