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Il pensiero dei saggi antichi nell'età dell'imperfezione

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Di Michele Ruele

Matteo Taufer, Caput anguli (Segno, 2005), Il varco analogo (Edizioni Il Monogramma, 2007), Il velo d’acqua (Edizioni Il Monogramma, 2008).

Un’età “assiale”, quando venne alla luce l’uomo come oggi è, un uomo che oltre e forse ancora di più che “sapere” è un uomo che sa “dire” e “raccontare” e che dà luogo a un sapere del sacro: l’aveva ipotizzata il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers in un libro che si intitola Origine e senso della storia (1949).
In quell’epoca, fra 800 e 200 prima dell’era cristiana, una serie di saggi secondo Jaspers pervennero all’intuizione della verità: Lao Tzu e Confucio, i maestri delle Upanishad e il Budda, Zarathustra, i profeti ebrei, Omero, Esiodo e i primi filosofi della Grecia.
È ancora possibile attingere a quel sapere, avvicinarsi al mito, pensare il trascendente, l’eterno, il sacro?
Leggere Esiodo o i tragici greci o le Upanishad o la Bibbia apre il varco?
Come si fa il conto con la mortalità e lo slancio al trascendente; con la temporalità e con la proiezione verso l’eternità?
C’è chi capisce, nella modernità, nel 2009, che «lungi dall’essere qualcosa di irreale, il mundus imaginabilis ha la sua piena realtà fra il mundus sensibilis e il mundus intelligibilis, ed è, anzi, la condizione della loro comunicazione, cioè della conoscenza» (G. Agamben, Infanzia e storia)?
Chi segue le cose della letteratura, anche quella contemporanea, sa che questi interrogativi sono sempre fondamentali: per citare quasi a caso, si può pensare al libro della scrittrice canadese Margareth Atwood Negoziando con le ombre oppure a poeti contemporanei come Mario Benedetti, Stefano Dal Bianco, Fabio Pusterla (rispettivamente autori, per esempio, di Umana gloria, Ritorno a Planaval, Folla sommersa).

Il mito, il mondo simbolico di parole che gli corrisponde, è pensabile oggi, nella modernità, solo se ci si sottopone consapevolmente a prendere atto di una mancanza, di una perdita: ammesso che lo si faccia, ciò avviene per vie epifaniche, analogiche, fantastiche, trasognanti, ibride.
È chiaro: il mito nella modernità è impraticabile (ma più la mitologia che il mito, a dire il vero). Ma non è detto che sia impraticabile la sfera di linguaggio e materia immaginativa che in parte gli corrisponde. Forse, è il modo di essere eroici in un’epoca che annienta qualsiasi eroismo; è l’esplosione del dionisiaco nella banalità del quotidiano.
La letteratura appare la via maestra per dare luogo a questi pellegrinaggi mentali e a queste aperture dell’esperienza.

Sono preziosi compagni e per certi versi anche maestri di viaggio nella sfera del mito e del simbolo alcuni libretti concentrati e lucidi di Matteo Taufer.
Taufer è ricercatore di latino all’università di Trento, si occupa di filologia eschilea e di Plutarco; ma la sua attività più sorprendente è la cura di una lunga e scrupolosa serie di articoli a tema ospitati sul sito Projectmate.com (cliccare su “biblioteca”, si possono scaricare tutti gli articoli).
I temi: il costruire come atto simbolico; il simbolismo acqueo; il viaggio, lo spazio geografico e i pellegrini; il vino.
Gli articoli – recensioni, brevi saggi, riflessioni, elzeviri dell’era di internet – sono raccolti in Caput anguli (Segno, 2005), Il varco analogo (Edizioni Il Monogramma, 2007), Il velo d’acqua (Edizioni Il Monogramma, 2008); è imminente l’uscita di un libro nuovo sul vino.

L’arte, la bellezza, la parola, il pensiero appaiono nelle pagine di Taufer non tanto come strumenti o vie individuali della creatività quanto come accesso e forma dell’àmbito collettivo e universale riferito all’immaginario e all’Altro. Così negli oggetti quotidiani (case, laghi, un ponte) possono avvenire la restituzione del sacro, la reviviscenza del mito (o il tentativo di farlo rivivere); si può distinguere il riflesso della loro perfezione. Ciò è frutto evidentemente di una disposizione e di una scelta, ma è anche una qualità della cosa stessa e una qualità dell’opera letteraria, che dev’essere proporzionata alla perfezione della cosa stessa. E allora l’artefice dev’essere all’altezza del compito, quantomeno.
Dunque non si tratta solo di formulare una certa idea del mondo, ma anche di una certa idea di quali operazioni e con quali requisiti operare sul mondo.
E il mondo simbolico è fatto di cose e riflessi delle cose, è fatto di memoria e di racconti; l’opera d’arte si plasma in conformità con una perfezione superiore.

Articoli eruditissimi e puntualissimi sui libri di Calasso, di Bachelard, Eliade, Guénon, Chatwin, Daumal, Coomaraswamy, sulla ricerca del Graal, sul simbolismo dei ponti nelle valli alpine, sui mostri incantati, sui pellegrinaggi, sulle rêveries acquatiche, sulle ninfe, sul battesimo, sulle navi funebri. Taufer usa in primo luogo gli strumenti della critica letteraria e della filologia, ma fa ampie escursioni nei campi della filosofia, della storia, dell’antropologia. Si leggono gustandone l’accuratezza della lingua e facendo la gratificante esperienza di un incredibile anacronismo: stare nel 2009 e permettere all’antichità fondativa di irrompere nel presente (o, se si vuole, è il presente ad affondare nel passato).
Di grande interesse, fra l’altro, è la proposta di una riflessione sulla dialettica fra cultura antica e cultura moderna, una dialettica che non si risolve tanto in una scelta per l’una o l’altra parte (per quanto Taufer parteggi evidentemente per l’antichità) quanto in una illuminazione sul moderno dall’antico, nella proposta di una serie di strumenti per la lettura del presente e, solo in parte, nello svelamento dell’antico con una selezione degli strumenti di conoscenza moderni. Il presente, anzi, è paradossale, è un’«epoca trascorsa»: «caratterizzata dall'orientamento verso un futuro previsto, o meglio ipotecato da una scommessa: quella dell'immanenza del senso e del progresso indefinito ma orientato verso una direzione precisa, prevedibile e governabile. Una ricognizione sulle origini e sul senso del moderno assume, allora, il senso di una disamina di questa gerarchia fondante…».

«Ma chi è il ‘poeta arcaico’? Com’era veduto? Di quali doti superiori parliamo?
Se per la cultura moderna, almeno ufficiale, merita l’appellativo di vero solo ciò che appare e diviene, l’uomo delle origini dà per certa l’esistenza di una dimensione non-visibile a fondamento del reale. Ad essa egli si appella ininterrottamente. Non si spiega altrimenti la stessa pratica della magia, che presuppone la capacità dell’uomo di entrare in contatto, evocare e quindi governare forze impercettibili dai sensi al fine di produrre fenomeni di varia natura. È appunto a un contesto di assidua evocazione di entità soggiacenti al molteplice sensibile che va riferita l’antica vocazione alla poesia, in quanto il poeta dev’essere, anzi tutto, un conoscitore dei nomi giusti. Nitida una rivelazione dai Diari di Kafka: “È senz’altro pensabile che lo splendore della vita circondi chiunque, e sempre nella sua intera pienezza, accessibile ma velato, nel profondo, invisibile, molto lontano. Però esso sta lì, non ostile, non riluttante, non sordo. Se lo si chiama con la parola giusta, con il nome giusto, allora viene. Questa è l’essenza della magia, che non crea ma chiama” (Aforismi di Zürau)».

I libri sono ordinabili in libreria, oppure acquistabili nelle librerie online; tutti gli articoli si possono leggere e scaricare da www.projectmate.com cliccando su “biblioteca”.

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