"Il paese delle prugne verdi" di Herta Muller
Autore: Michele RueleMar, 27/10/2009 - 09:44
Di Michele Ruele
Il paese delle prugne verdi di Herta Müller è una vertigine di poesia cruda, un volo nell’abisso durante il quale alla vista si sovrappongono volti e città, i tempi dell’infanzia e il presente, la vita immediata e il linguaggio. La pienezza del linguaggio si scontra con il vuoto della dittatura. La storia è ambientata nella Romania di Ceausescu, anni Ottanta.
“Teresa diceva scarpe ed erano solo scarpe”.
“Quando pensavo a Lola da sola, molte cose non mi tornavano in mente. Quando mi ascoltavano, le sapevo di nuovo. Avevo imparato a leggere nella mia testa davanti ai loro occhi immobili. Nelle crepe della testa trovavo ogni frase scomparsa del quaderno di Lola”.
Ho scritto questo libro in ricordo dei miei amici rumeni uccisi sotto il regime di Ceausescu, così Herta Müller, vincitrice del premio Nobel. La Müller è una delle scrittrici più in vista della letteratura tedesca; fino agli Ottanta, prima di riparare in Germania a causa delle persecuzioni, ha vissuto in Romania, provenendo dall’enclave germanofona del Banato.
Il mondo rappresentato è buio, claustrofobico, crudele e angosciante; il vuoto e il terrore conquistano lo spazio del sentimento: il titolo originale è Herztier, la bestia nel (o del) cuore, questa parola è uno dei refrain di una scrittura fatta di scatti poetici, di sovrapposizione temporali, sfaldata in una nevicata di punti di vista capricciosi. E non si tratta solo di “testimonianza”, sono l’espressione di un’epoca, la resa di un sentimento del tempo a valere in questo caso: dal punto di visuale delle scelte stilistiche a contribuire in maniera fondamentale sono proprio il racconto allucinato, le transizioni analogiche improvvise e brutali, le deviazioni dalla trama, le irruzioni del realismo, della tenerezza e della violenza. L’assurdità della dittatura, lo svuotamento dei significati, la violenza del linguaggio delle “guardie” e del “capitano” vengono riutilizzati, enfatizzati e rovesciati.
Vengono in mente Thomas Bernhard, Agota Kristof, Jeannette Wintherson; tra gli italiani, per farsi un’idea, Federigo Tozzi o Stefano D’Arrigo.
Quindi, non proprio un romanzo: siamo dalle parti della poesia, del linguaggio che si rivolge a se stesso, della creazione di paradossali ambienti antiepici e fondanti allo stesso tempo. È come trovarsi perduti nelle lande buie del Re Pescatore e come Perceval non poter accedere al Graal, ma soprattutto vedere il mondo sgretolarsi intorno senza redenzione.
Recitare poesie, leggere libri, scrivere lettere, cantare canzoni popolari è sospetto per la polizia e per la gente asfissiata dalla miseria, incapace perfino di desideri, preoccupata più per la salute del dittatore che per la propria. Quali sogni: del mascara che non sporchi, sveglie che funzionino, giornali e libri che non lascino sulle mani il nero dell’inchiostro, calze che non si smaglino, fuggire: “Tutti vivevano di pensieri di fuga”, “Solo il dittatore e le sue guardie non volevano fuggire”; ma poi restano corpi grigi, ragazzi come fantasmi, operai alcolizzati, cadaveri nei campi di mais.
Quattro ragazzi si incontrano nei collegi durante la scuola: oltre a Herta sono Edgar, Kurt, Georg.
“Un piccolo quadrilatero come stanza, una finestra, sei ragazze, sei letti, una valigia sotto ognuno. Accanto alla porta un armadio a muro, sul soffitto, sopra la porta, un amplificatore. I cori operai cantavano dal soffitto alla parete, dalla parete ai letti, finché non calava la notte. Poi tacevano, come la strada sotto la finestra e il parco incolto attraverso il quale non passava più nessuno. In ogni dormitorio c’erano quaranta piccoli quadrilateri identici. Qualcuno diceva che gli altoparlanti vedono e sentono ciò che facciamo”.
Una compagna di Herta, nello studentato, si uccide. La morte di Lola diventa ossessiva per Herta: la ragazza le ha lasciato un quaderno, che però le viene rubato durante una delle tantissime perquisizioni. Lo impara a memoria. Con i tre amici, Herta ricostruisce la storia di Lola, legge i libri, trova un rifugio in una casa estiva, cova progetti sovversivi (“il silenzio del paese che vieta il pensiero nei libri non c’era”). Ma le guardie sono implacabili. Interrogatori, torture, ritorsioni, di cui i quattro discorrono nelle lettere usando dei codici segreti, infine la morte.
Il paese delle prugne verdi è ad oggi l’unico libro di Herta Müller che si può trovare nelle librerie (Marsilio aveva già pubblicato In viaggio su una gamba sola più di quindici anni fa, Editori Riuniti Bassure più di venti anni fa – non si tratta di un’autrice “sconosciuta” o “minore”). I suoi prossimi titoli appariranno per l’editore Feltrinelli.
L’editore Keller ha sede in una mansarda nella periferia di Rovereto, all’imbocco del Trentino, Guido Keller applica le etichette e imbusta i libri, ma è soprattutto partito da un progetto editoriale dal largo respiro internazionale. Non è l’unico editore piccolo o medio ad avere queste larghe vedute (a caso: un altro editore roveretano come Zandonai che ha fra i suoi autori molti slavi, Boris Pahor e Joseph Zoderer; oppure i siciliani :duepunti edizioni, che hanno pubblicato prima degli altri il Nobel del 2008 Jean-Marie Le Clezio). Keller lavora, come si dice, sul territorio: collaboratori di una cerchia ristretta e scelta, tipografia in loco. Dalla provincia il propellente per sprovincializzarsi. Piccolo, in casi come questo, è molto bello.
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