Considerazioni sull'editoria
Autore: Morgan PalmasLun, 19/10/2009 - 12:44
Di Roberto Orsetti
Sto riflettendo da qualche tempo sull'editoria nazionale, sulla distribuzione, sugli scaffali pieni o vuoti di libri.
Spesso negli ipermercati o nei blockbusters guardo i libri esposti. Sono i soliti. Forse sono i più meritevoli, mi dico. I più bravi a vendere, a vendersi.
Sono anche i più cari, ma questo è un altro aspetto, a cui mi piacerebbe pensare in seguito.
Non ho certo la pretesa di spiegare il mondo editoriale in Italia, ne parlano anche i tribunali...
Quasi un anno fa, quando decisi che da grande avrei fatto lo scrittore, mi preoccupai di capire come funziona l'ambaradan. E cercai in rete, il mio strumento di battaglia, informazioni su come proporre, far leggere, inserirmi.
I dati che raccolsi erano a dir poco sconvolgenti, per me almeno. Ho una storia diversa, non ho mai bazzicato questo territorio se non da lettore, almeno sino a un paio di anni fa.
Uno spunto ulteriore me lo ha dato la lettura di questo pezzo e un post di Andrea G.Colombo su tecnologia e ebook.
In media alle case editrici o presunte tali arrivano 25.000 manoscritti in un anno. Un numero imponente, mostruoso.
Dei 25.000 manoscritti, mille più mille meno, nessuno o quasi diventa libro, e quei pochi che lo diventano quasi mai raggiungono una distribuzione e una vendita di qualche peso. E qui è impossibile dare dati certi sui volumi di vendita.
Un dato è lampante però da altre cifre che ho trovato.
Se si dividono gli editori in grandi e piccoli, i piccoli si stima abbiano un invenduto del 90%.
Quindi chi pubblica con un piccolo editore ha 9 possibilità su 10 di restare in fondo alle scatole sotto il bancone.
Ok, anche se le cifre che riporto fossero meglio di quelle reali, mi hanno procurato mal di stomaco. Ho ripreso il mio materiale e l'ho chiuso nella cartellina.
Devo ragionare serenamente, facendo i calcoli come se fossi un editore, come se fossi uno scrittore, come se fossi un lettore.
Se fossi un editore cambierei mestiere se non trovassi in breve un fenomeno.
Se fossi uno scrittore cambierei mestiere se non fossi convinto di essere un fenomeno.
Se fossi un lettore cambierei idea continuamente sul libro da comprare, perché se sbaglio fenomeno butto via 20 e passa euro.
Considerazioni simili mi impoveriscono non poco e qui scatta la reazione. Ma che dovrebbe essere di tutti o quasi quelli che scrivono. Anche se costa un poco di fatica, specialmente se si tocca il proprio ego.
Perché devo spedire i manoscritti, allora, se ne vengono letti il 10% dai riceventi, e di questa percentuale solo il 2% per intero?
Perché devo cercare un editor magari a pagamento che mi legga il romanzo, che mi illuda nel migliore dei casi, visto che quando lo spedisco alla casa editrice rischio come quelli che non hanno fatto l'editing?
Qualcuno a questo punto avrà già detto: "Ok, smettila di scrivere e gioca con la Playstation o guarda la tv".
Ma chi scrive, scrive con il cuore, con la gioia di un bambino che tenta di fare il primo cerchio con la matita.
Negli anni ottanta l'auto-produzione ruppe il mercato, quel mercato delle grandi case discografiche, delle multinazionali dell'arte in genere. L'accessibilità ai mezzi tecnologici e espressivi che non costavano cifre proibitive diede impulso a nuovi artisti o a chi si sentiva tale.
Oggi la tecnologia è quasi alla portata di tutti.
Leggo di persone che scrivono e mandano i lavori a destra e a manca, che sperano in un contatto vincente, in una strada privilegiata. Io ho deciso diversamente, quale sia il mio valore.
Perciò porto il discorso sulle nuove forme, sugli E-Book, sulle antologie, sul gratuito e di libera circolazione, sulla stampa a pagamento, ma solo per singola copia. Quella che in realtà va all'utente finale.
Non bisogna essere avari, non bisogna essere gelosi. Volete diventare ricchi con il vostro romanzo? Giocate al superenalotto, le probabilità, per come stanno le cose, sono le stesse.
Sto quindi parlando di concentrare il lavoro su nuovi canali, anziché spedire il lavoro a chi nel migliore dei casi vi risponderà con una lettera standard. Restarne padroni, sempre. Che senso ha tenere tre, quattro anni un libro in giro per l'Italia su qualche scrivania. Non è meglio puntare su un ebook, sui blog, sul peer to peer, sui concorsi anche di terza categoria. Il lavoro non viene svilito dal contesto in cui finisce. Se è buono è buono, magari non lo apprezzeranno, ma rimane buono. E per sempre o quasi.
Lo sforzo maggiore, e me lo confermano le numerose discussioni tra scrittori o presunti tali, è l'affermazione ormai senza valore per me: “Se non trovo un editore che stampa il mio libro non sono nessuno”. Analizzando la situazione appare chiaro che non può essere così assoluto ormai questo punto.
Ma qualcuno continua a sostenere che gli ebook non sostituiranno mai i libri cartacei. E chi lo pensa? Io so che negli ultimi sei mesi ho letto 150 ebook “alternativi” di cui almeno il 30% valeva la pena di essere letto più di alcuni titoli pubblicati e pubblicizzati. L'invasione degli ebook in rete rischierebbe di sovraccaricare i lettori potenziali, sostiene Colombo nel suo post, con la conseguenza di disorientarli e disperdere i lavori nella rete stessa. Ben venga l'invasione, ben venga il caos. Magari assisteremo alla nascita anche del segnalatore, non mi piace il termine critico, di ebook. Magari anziché scrivere la milionesima recensione del libro di S.King senza nessun contributo critico originale, parlerà di Luigi Rossi o di Mario Bianchi.
Mi sentirei anche di dire un paio di parole sui concorsi. Non vale la pena di spendere soldi, per l'iscrizione intendo. Perché dovrei pagare cinque o dieci euro per le spese di segreteria? Se poi nessuno si iscrive al concorso, come sarebbero state pagate quelle spese che comunque per mettere in piedi un concorso si devono sostenere? Mi vengano a spiegare cosa spinge un soggetto a indire un concorso, altrimenti a zero iscrizione. Mi sembra una storia simile a quelle delle case editrici a pagamento, alle quali sono manco a dirlo contrario.
Argomento che mi sta molto a cuore è quello delle antologie, quelle raccolte di scritti, poesie, racconti formulati da vari autori.
In altri paesi, anglosassoni su tutti, l'antologia è uno strumento, un mezzo molto considerato. Fate i conti, quindici autori che si fanno leggere da 50 amici. 50 amici diversi per ognuno di essi vale un potenziale parco di lettori. Basta una calcolatrice.
Se il vostro e-book avrà successo prima o poi qualcuno vi contatterà. Per metterlo su carta o farvi qualche altra proposta. E qui non voglio andare oltre, perché dovrei dire ciò che penso di un editore che fa una operazione del genere. E non sarebbe bello. Per chi la propone e per chi la accetta.
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