Intervista a Sergio Paoli
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Un paio d’anni fa mi sono messo a rileggere le cose che scrivevo da ragazzino, come tutti i ragazzini. Poesie ingenue, racconti delicati. Mi sono chiesto perché non scrivere ancora, in fondo in Italia lo fanno quasi tutti. Ho messo insieme allora dei racconti brevi, surreali e noir. Poi ho iniziato con i romanzi e proseguo. Non lo definirei un caso fortuito: raccontare storie mi fa sentire bene.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Per scrivere un romanzo ci vuole qualche idea, qualche fantasia, molta immaginazione. Ma soprattutto tanta disciplina e un gran senso autocritico. Un bel romanzo è frutto di un magico equilibrio tra i due estremi, non necessariamente nella stessa misura. Se un istinto creativo è geniale, ne basta l’1%. Il resto è lavoro, razionalità.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
L’ispirazione viene vivendo: si tratta solo di accoglierla e poi saperla usare. Monicelli, il regista, raccontava che per lui lavorare, voleva dire anche stare due ore a guardare la vita scorrere fuori dalla finestra.
Poi ci vuole disciplina. Sarei d’accordo con Moravia, se me lo potessi permettere. Ma sono scrittore nei ritagli di tempo, per necessità di vita. Quindi scrivo quando posso, quando riesco.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Del silenzio. Di sentire la mia mente libera di vagare nei meandri della storia che sto costruendo. Del vedere i miei personaggi lì, nella mia stanza, che mi parlano o si mostrano. Mi accorgo che la storia funziona quando i personaggi agiscono da soli, e io devo solo registrare quel che fanno.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Fanno parte della mia formazione, quelli che sono riuscito a leggere. Alcuni, non tutti. Ne dovrei leggere chissà quanti, ancora, e ogni tanto ne riprendo in mano qualcuno. Massimo rispetto. Ma preferisco confrontarmi con i linguaggi e gli stili coevi. Forse perché nelle mie storie amo raccontare del mondo d’oggi, con la lingua d’oggi. E confrontarmi, magari seduti davanti a un buon bicchiere, con scrittori d’oggi.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Ci sono sicuramente dei poli d’attrazione, legati anche alla presenza di case editrici in alcune città. Bologna mi sembra una delle più interessanti. Ma anche Milano, Genova, Roma e tante altre. Ma un gran romanzo può nascere ovunque. Mario Rigoni Stern viveva isolato in una baita di montagna e guardate cosa ha scritto. Massimo Carlotto ha scritto grandi cose, dalla Sardegna. E così via.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Scrivere è un’ossessione e un atto di narcisismo. Quando pubblichi un romanzo puoi far finta di essere più intelligente di quel che sei davvero. E questo ti fa sentire bene. Grazie al cielo è un narcisismo che non fa male a nessuno, anzi. Magari qualche lettore di LADRO DI SOGNI è stato contento di averlo letto. Ma non è tanto lo scrivere che mi fa sentire meglio: è il raccontare storie e trovare qualcuno che le legge e scopre qualcosa di se stesso lì dentro. Esseri umani che si incontrano e condividono qualcosa di profondo. La cosa più bella.
La ringrazio e buona scrittura.
Grazie a lei per questa intervista.
Sergio Paoli, viareggino trapiantato in Brianza, ha 45 anni.
Nel 2009 ha pubblicato il noir "Ladro di sogni" (Frilli),
prima avventura del vice commissario Marini, di cui
parlerà a RADIODUE RAI il 19 settembre alle 13.
Un suo racconto "10 giugno", è presente nell'antologia
"Crimini di piombo" (Laurum), che sarà presentata il
prossimo 10 ottobre al Pisa Book Festival. Altri suoi
racconti sono stati pubblicati da MEF, 9muse e Lapsus, oltre
che su vari siti web.
Il suo secondo romanzo noir con il vice commissario Marini
sarà pubblicato da Frilli nei prossimi mesi.
http://www.sergiopaoli.com
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