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Intervista ad Alberto Bracci Testasecca

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Ho cominciato a scrivere verso i cinquant’anni, del tutto casualmente: qualcuno aveva regalato ai miei figli una bibbia per fanciulli degli anni Cinquanta, una deliziosa edizione illustrata e istoriata che fa immediatamente venire voglia di essere sfogliata. Così per qualche sera ho letto la Genesi ai bambini cominciando dalla creazione del mondo. I bambini si divertivano, soprattutto a guardare le innumerevoli figure, ma via via che il racconto procedeva mi chiedevano insistentemente come mai Dio proteggesse quelle persone che non facevano altro che imbrogliarsi fra loro e compiere ogni genere di soprusi. Così per divertimento, e per fare uno sberleffo alla Chiesa, mi sono messo a scrivere una Genesi “libera”, con l’intenzione di farla leggere ai bambini. Invece non mi sono più fermato: dalle vicende di Abramo & Co. sono scivolato in un’altra storia, poi in un’altra, ed è nato il mio primo racconto. Poi ne ho scritto un altro, poi un altro…
C’è da dire che per i dieci anni precedenti ho tradotto romanzi di scrittori affermati, e questo mi ha insegnato moltissimo, sia sulle forme narrative che su quelle stilistiche. Soprattutto mi ha fatto capire gli errori da evitare. Continuo tuttora a tradurre, è un’attività che mi appassiona e mi istruisce, anche se dilata enormemente i tempi che dedico a scrivere cose mie.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

Se proprio dobbiamo metterla in questi termini, diciamo che il soggetto mi viene fornito dalla razionalità consapevole, mentre lo svolgimento procede per istinto creativo. Ma è molto limitante, sono due fattori troppo mischiati tra loro e mischiati con un’infinità di altri fattori.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.

Moravia non aveva bambini da accompagnare a scuola e riprendere in piscina ecc, forse non doveva nemmeno buttare la spazzatura o fare la fila alla posta per le bollette, non so. Ha avuto successo subito, immagino che si sia potuto pagare comodità che per i più sono un miraggio.
Io, se non fossi bombardato dalle quotidianità, scriverei mattina e pomeriggio e sera, ma non la notte. In realtà è raro che riesca ad avere più di due ore filate di silenzio intorno a me.
L’ispirazione è un entità microscopica e camaleontica che viaggia camuffata nel flusso costante dei pensieri, non è facile distinguerla dal pensiero inutile. Il mio metodo consiste nel calare il retino nel flusso e tirare su, poi cominciare a scrivere: dopo venti pagine mi accorgo se quello che ho pescato era un’idea scema (nel qual caso butto) o un’ispirazione carina (nel qual caso continuo).

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?

Soprattutto di silenzio. Poi di ordine, sia sul tavolo dove scrivo che nella stanza intorno a me. Poi di finestra aperta, con qualsiasi clima. Poi di tabacco e cartine. Poi prego gli dei che non facciano suonare il telefono.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?

Ho il massimo rispetto sia per i grandi che per i piccoli della letteratura, se quel che scrivono mi piace e mi colpisce.
Molti scrittori nel tempo perdono di attualità, per leggerli bisogna fare lo sforzo di calarsi nel loro contesto, penso a Henry James, Tolstoi, Goldoni, Victor Hugo. Altri rimangono più attuali: Conrad, Dostoevsky, Balzac, Pirandello, Huxley.
Credo che il problema dell’approccio ai grandi scrittori riguardi più l’uomo della strada che l’uomo colto. Fino a cinquant’anni fa i libri erano quasi l’unico diversivo alla quotidianità, sicuramente il più facile, quindi una meta per molti. Adesso gli input distraenti sono talmente tanti che per parecchia gente la sola idea dell’oggetto libro è già una cosa che mette pensiero, figuriamoci conoscere un determinato scrittore, per giunta di uno o due secoli fa!
Per l’uomo di cultura il rapporto non è cambiato, è solo una questione di gusti.

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

Non so se esistano punti d’incontro tra scrittori, ma mi piacerebbe saperlo. Sono completamente fuori dal “giro”. Manco totalmente dell’aspetto pubbliche relazioni, riesco solo a scrivere, quindi ad assolvere circa il venti percento di quel che serve per farsi conoscere e conoscere.
Nelle mie fantasie più sfrenate c’è certamente il desiderio di appartenenza a un cenacolo di letterati che si riuniscono in un caffè o in una libreria per discutere di lemmi e di trovate narrative, ma non so dirle se una cosa del genere esista. Le poche volte che ho conosciuto altri scrittori, famosi o non famosi, ho percepito molto egoismo, nessuna voglia di condivisione e troppa voglia di piacere al critico di turno o all’editore importante: insomma, una smisurata attenzione per l’aspetto non letterario del mondo letterario.
Forse gli attuali veri circoli di letteratura si trovano su internet, su facebook o sui blog come il vostro, su nazione indiana, su karl krauss… È un mondo in cui mi sono affacciato da poco, quindi ne so poco.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?

Da un punto di vista personale ha certamente migliorato la mia vita: scrivere mi dà gioia, quindi gratifica le mie giornate.
Da un punto di vista sociale l’ha peggiorata perché non si fa una lira, è un’attività che galleggia al limite della sussistenza, la cui unica soluzione è nel successo (e conseguente tornaconto economico): ma, come dicevo prima, il successo dipende solo in piccola parte dalla scrittura, la vera chiave è mondana, piaciona, consortile, piduista, e in quel campo sono veramente sguarnito.

La ringrazio e buona scrittura.

Alberto Bracci Testasecca lo potete trovare su Facebook.

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