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Frammento Otto: coglione lo scrittore o il lettore?

Ho letto questo, in risposta all’articolo di Mozzi.
Bellotto scrive: “Mi è capitato di frequentare per un certo periodo alcuni scrittori italiani e posso dire senz’ombra di dubbio che sono in stragrande maggioranza dei memorabili coglioni”, oltre ad altre confidenze altrettanto poco diplomatiche. Ignoro i veri motivi di tale analisi.
Ignoro anche che cosa significhi essere uno scrittore di professione. Parlo da scribacchino, da lettore e curioso. Mi chiedo alcune cose.

Entro in libreria, pago 10-15 euro un romanzo, mi piace o non mi piace non importa, però sono consapevole, se dovessi rifarmi alle frasi di Bellotto, che sto donando il più delle volte una porzione di benessere a un coglione, a un ipocrita, a un permaloso, ecc. Accade in tutte le arti verrebbe da dire, da quando acquisto una tela alla visione di uno spettacolo di danza. Normale, assoluta normalità. Peccato che questo non sistemi la questione, almeno per quanto mi concerne. Perché donare pezzi di benessere a un coglione, con tutte le caratteristiche che Bellotto descrive, non mi sta bene, per nulla.

Fermi, fermi. Sto parlando di un libro, dieci o quindici euro, sì, vero, ma quei pochi euro moltiplicati per migliaia di copie pagano un mutuo, riempiono un frigorifero di cibo, permettono giustamente allo scrittore di continuare a scrivere. E donano forse il tempo di fare salotti, incontrare gente, creare progetti nuovi con le persone giuste, intessere inciuci e poteri più o meno trasversali. Alla faccia mia, o nostra, mentre io continuo ad acquistare i loro libri con la differenza che non ho il tempo per fare salotti, ecc.
Quindi, banalizzando, neppure troppo, una mia piccola scelta di acquisto concede non soltanto una porzione di benessere (legittima e/o meritoria), bensì, senza dubbio, nella maggior parte dei casi, il tempo per organizzare inciuci, alleanze, possibilità di un originale egotismo, insaporito magari di comparsate nello schermo (pagate con gettoni di presenza), ospitate in radio (ulteriore pubblicità), collaborazioni giornalistiche (pagate anch’esse), ecc.
Il territorio non mi è nuovo, basti seguire le polemiche dei premi letterari o le lotte fra i grandi gruppi editoriali e subito appare chiaro quanto ahimè l’unico coglione in tutta questa situazione sono io, assieme a tanti altri lettori che si fanno affascinare – forse – dai mondi fittizi, scevri di meditazioni sugli aspetti caratteriali dell’autore.
Non sono importanti? Davvero possiamo scindere l’opera dall’artista e valutare la prima senza farsi influenzare da altro?.
E non sono neppure tematiche nuove, quanti filoni di pensiero hanno sviluppato studi su tali argomenti di discussione. Ciononostante, in ciò vorrei farvi soffermare per qualche attimo, sarebbe illusorio non dare per scontate tali dinamiche? Forse sì, perché da che mondo è mondo così funziona nell’arte.

Quante opere letterarie non sarebbero state un successo se i lettori avessero prima cercato informazioni sull’autore? E una volta stabilito che un ego antipatico non meriti un solo euro, punirli con l’indifferenza. Sistema fantasioso, lontano da una consapevolezza concreta e attuabile. Non so, forse. Oggi, con l’aiuto di internet, vi è una grande disponibilità di informazioni, altresì sulle vite degli artisti, in particolare degli scrittori. Possono fregare con il marketing una volta, non la seconda, o almeno questa è la speranza. Allora viva le interviste, le voci dei diretti interessati, e, in parte, quelle che inserisco sul mio blog hanno la funzione siffatta. Vedo che cosa scrivi, ti conosco, e poi decido se leggerti o meno.

Se sempre più gente sarà meno schiava delle mode e degli effetti del marketing, la risposta del pubblico sarà più completa, e rispettosa di un’etica dell’acquisto che sembrerà forse
ancora illusoria oggi, ma fra cinquant’anni o cento?.


Stiamo vivendo un periodo della storia peculiare, le guerre mediatiche possono colpire una singola persona o esaltarla, certo, al medesimo tempo, le parole dirette degli scrittori dicono molto su di loro, si espongono nelle virtù e nei difetti se soltanto i giornalisti facessero domande serie, e non, come il più delle volte accade, adulazioni, vezzeggiamenti, frasi di circostanza perché nella vita non si sa mai… magari quello ti presenta l’altro, l’altro ti invita con l’altro e il cerchio si chiude non di rado fra ipocrisie e squallide raccomandazioni (ops, segnalazioni) che nulla spesso hanno a che fare con il merito.

Io, sia chiaro, mi sento un coglione disilluso. Però, cerco di farmi fregare poco, e alcuni scrittori che ritengo scandalosamente sovrastimati e detestabili dal punto di vista umano non prenderanno mai più un altro euro dal sottoscritto.
Voi che cosa ne pensate?.

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