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Frammento 13: Sulla scrittura fra l'identità e l'Oltre

Seduti, alla ricerca della concentrazione. Obiettivo: scrivere. Per quale motivo? Perché un essere umano, fra le infinite scelte di comportamento, decide di mettere nero su bianco idee, pensieri, emozioni? E perfino continuativamente?.

Il processo della scrittura e le fasi

Mi sono chiesto numerose volte perché agisco in tale modo. Vi fu una fase in cui sognavo la gloria letteraria, per rivalsa sociale, per orgoglio, per vanità. Un’altra fase in cui, bene amalgamata con la prima, desideravo comunicare qualcosa a qualcuno, e quel qualcuno, a seconda dei casi, era la fidanzata o l’amico, la gente del nord o del mio paesino, i cattolici o gli snob. Un’altra fase ancora in cui, scalzando le altre, rendendole più deboli, non pensavo me con un altro destino, associavo quindi me stesso alla scrittura in modi ineluttabili, quasi alla ricerca di una magia che vincesse la consapevolezza della noia che provavo della vita, quasi liberasse dimensioni sincroniche immanenti e potenti, al pari della linguistica, rispetto al presente, senza una visione globale della mia scrittura, senza la considerazione delle contingenze vissute negli anni. Vi sono state altre fasi, in un vortice irrefrenabile di misurata coscienza o di confusa distrazione.

L'influenza della scrittura e l'Oltre

Tutte le diverse fasi, talora intersecate fra loro, talvolta con confini più netti, hanno goduto di una forza speciale: la capacità di influenzarmi e influenzare la mia scrittura. Se io andassi a ritroso e pescassi a caso in un calderone pezzi datati, riconoscerei il più delle volte almeno una delle fasi; le parole e il periodare hanno sapori, colori, odori che ai miei sensi appaiono o risultano di un’ovvietà drammaticamente disarmante nella loro presenza. Vedo me nella scrittura. Appare palese? A un livello superficiale di sicuro, ma se si scende nelle oscurità interiori, scevri di risposte immediate e istintive, vi sono campi di consapevolezza che affiancano un Oltre, qualcosa di intangibile che ognuno di noi, quando scrive e riflette su tale processo, scopre con timida gioia.
Giacché non si potrebbe spiegare altrimenti la ragione per la quale da quando ero adolescente scrivo ogni giorno, eccetto nei casi di febbre altissima che posso contare sulle dita di una mano e che mi impedivano di muovere il viso da una proda del letto all’altra, figuriamoci prendere una penna per scrivere o mettersi alla tastiera. Un Oltre misterioso e di bizzarro fascino mi ha sempre portato con vitalità verso le parole scritte.

L'Oltre e le relazioni con gli altri

Brevissima digressione, poi riprendo. Poesie, annotazioni, prosa, diari, non considero le traduzioni dal latino al liceo o gli sms, neppure la lista della spesa o la dichiarazione scritta per un’associazione, e tanto meno le centinaia di lettere. Non qualcosa di funzionale. Io sto parlando di scrittura che nasce dai mondi interiori, nella quale la prima virtù è un Oltre, qualcosa che ti spinge a sederti con forza e ti grida dentro la testa: «Scrivi!».
È una necessità impellente verso la quale tutto il resto viene meno, io non saprei descriverla in altri modi. Provoca anche ferite interiori, dure da accettare, e provoca tensioni con chi ti sta vicino. Vivo nel mondo, devo relazionarmi in maniera “normale” con gli altri, pur cercando di rispettare i miei valori e le mie idee, e non penso affatto di avere un’anima eletta o una genialità incompresa, ho a cuore davvero la socialità, il mio essere sociale.

Finzioni per difendersi

Facile intuire che dichiarare “scusate, devo scrivere, sento che devo scrivere” apparirebbe nel mondo contemporaneo (non so in altre epoche) quantomeno singolare, talvolta anormale. Mi accade spesso, spessissimo direi, e non mi interessa sembrare originale o artista o fiancheggiatore di temperamenti esoterici (vi fu anche questa fase, ovviamente). Ma accade che un Oltre bussa alla porta e da anni ho deciso che mi piace ascoltarlo. Come difendersi da ciò e relazionarlo al vicinato? Semplice: bugie. «Scusate, ma ho mal di testa, vado a casa», «Scusami, mi ha telefonato Enrico, ci incontriamo fra poco», ecc. Poi invece mi metto al pc, vado in un bar e scrivo sul moleskine, mi rifugio in bagno per venti minuti adducendo le più stupide scuse, rimando di qualche minuto il lavoro perdendo la concentrazione, va a spiegare a loro che sto scrivendo sulla carta igienica perché quella maledetta volta avevo scordato i due elementi di cui non faccio mai a meno quando esco di casa: il moleskine appunto e una penna.

La scrittura e il denaro

Riprendo il discorso. Un Oltre che non mi ha portato un euro in tanti anni, eccetto in alcune rare occasioni, dovute sempre a inspiegabili coincidenze, incontri fortuiti. La sostanza è che conservo milioni di parole una accanto all’altra, nelle più diverse forme, e non hanno quasi mai corrisposto a una somma di denaro. Se devo affermare una proporzione, siamo nell’ordine del 99,9% di scrittura non retribuita. Se considero che negli anni la consapevolezza che scrivere non possa essere una professione è divenuta definitiva (beato chi ha seguito la vocazione al giornalismo, manco quella mi ha salvato), è facile dedurre che scrivere è per me davvero un modo d’essere, un Oltre che non mi so spiegare e nonostante ciò continuo a seguire.

L'Oltre e il nordest

In una terra, il nordest, nella quale tutto deve essere contemplato “in funzione di”, dai rapporti amicali (senza notarlo perlopiù) alle opportunità lavorative, è semplice constatare quanto io difenda con bugie il mio Oltre. Quante volte mi è stato chiesto in passato: «Perché scrivi? E allora quando pubblichi? Che cosa scrivi se non lo fai per soldi?». Ecco, soprattutto qui nel nordest - ne parlo con cognizione di causa dato che ho vissuto in più luoghi italiani e non solo -, dove la cultura della piccola impresa ha condizionato la mentalità collettiva, fare qualcosa senza un ritorno economico non ha senso, è inconcepibile, con un grado di ovvietà per tanti che non ho trovato in altri luoghi. Posso essere sincero con chi mi guarda nella maggior parte delle volte come un marziano o un povero illuso sognatore se parlo di scrittura? Posso spiegare a chi mi circonda, date le distanze abissali che dovrei tentare di comunicare (non posizioni elette o distinte, ma distanze), che scrivere per me appartiene a un Oltre che mi dona la necessaria linfa per sopportare con meno amarezza un’altra giornata lavorativa e di vita?.

L'Oltre nei dettagli

Intendiamoci. Non ho la necessità di scrivere ogni cinque minuti, non potrei lavorare, non potrei condurre colloqui “normali”, ecc, ma accade spesso, una o due volte al giorno. Convivo con tali accadimenti, con serenità oggi, nonostante abbia escogitato una lunga serie di bugie preconfezionate per non sembrare un folle. E per fortuna in questa fase frequento pochissime persone, lavoro da casa al computer, trascorro molto tempo isolato e ciò mi facilita, permette di inquinarmi con meno panzane per seguire l’Oltre.

Ho scritto questo post perché ho riflettuto su due recenti articoli: uno di Demetrio Paolin su Vibrisse e uno di Federica Sgaggio sul suo blog. Parlano dello “statuto” e dell’identità dello scrittore, oltre a toccare altri interessanti argomenti.
Loro hanno pubblicato libri e nel caso di Federica la scrittura è anche giornalismo. In qualche modo si relazionano all’identità dell’essere scrittori anche sulla base di un riconoscimento pubblico della loro scrittura e di una funzionalità che si lega all’altro da sé, alla società se preferite. Ma chi, è lo chiedo a tutti voi, non ha quel “riconoscimento pubblico” e nessuna funzionalità, come vive il rapporto con la scrittura che cade sulla testa d’improvviso e strepita per emergere?
Sono uno scrittore? No. Forse uno scribacchino. La scrittura determina in me comportamenti e scelte, non è pure questa un’identità?

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