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Scrivere un romanzo in 100 giorni - Lezione 77

Le vostre descrizioni ripetono uno schema preciso? Chiedetevi con cura se abusate di aggettivi o di avverbi. Inoltre, riflettete sulla punteggiatura quando descrivete: tendete a ripetervi?.
Il confine fra interessante particolare e noioso dettaglio è diafano, attenti. Il primo spiega con delicatezza e precisione; il secondo è inutile e fa addormentare il lettore. Non dimenticate né la lezione 42 né la lezione 53. E in particolare imparate a memoria la 64.

Descrivere dovrebbe essere un po’ come misurare, sapendo in altre parole da dove partite e fino a dove giungete. Per quale ragione? Perché avendo i confini chiari in testa, dovreste essere più fluidi nel colmare con consapevolezza il territorio fra gli estremi.

So che anche in questo caso ci sarà chi sostiene che la libertà espressiva non va mai contenuta, non va mai dosata e pensieri simili, come se un romanzo fosse un guizzo creativo continuo. Benissimo. Io sono felice che pensiate così, ma ho un’altra idea, una prospettiva differente. Forse entrambe corrette, io ne propongo una, quella che s’è rivelata efficace per me.
Nelle descrizioni andrebbero evitate le continue serie di oggetti: orribile fare elenchi pensando che ciò faccia immaginare l’ambiente a chi legge. Una fila di cose una dietro l’altra è come un piatto senza sale, quando invece era necessario. Gli ingredienti hanno tempi, importanza e sostanza se inseriti con armonia creativa; quindi, via libera ad aggettivi calibrati, a cambi di scena, a nomi esatti, a precisione stilistica a seconda dei personaggi presenti, ma tutto amalgamato pensando che chi legge non si debba annoiare.


Ho voluto inserire questa lezione oggi e non ieri per ricordare una persona. Ero molto giovane quando lui morì, ma da un paio d’anni lo avevo scoperto per caso e stava segnando irrimediabilmente la mia formazione culturale. A volte accadono le cose più strane, anche se tendiamo a definirle qualche volta coincidenze sospette. Incontri un libro, senti nominare per la prima volta quel nome e poi, con il trascorrere del tempo, diviene una droga dalla quale non riesci a staccarti. Lessi così con avidità “Le mosche del capitale”, il suo ultimo romanzo, non capendolo allora del tutto. Mi informai sulla sua biografia e cominciai dall’inizio della sua produzione, Il Ramarro, scoprendo le sue poesie. Ho ricordi meravigliosi di quel periodo. Io nel letto, prima di dormire, a leggerlo, tentando di non disturbare troppo con la luce mia sorella, più piccola, che già era nel mondo dei sogni. Mi emozionavo, non mi staccavo dalle pagine, capitava non di rado che la mattina mi alzavo con il libro ancora addosso. Poi andavo a scuola e ricordo che ascoltavo le lezioni a tratti, avevo altro in testa con cui fantasticare. Feci circa due anni in quel modo. Il 1994 fu un anno particolare, doloroso per me, molto. Quando quel giorno, proprio quindici anni fa, sentii al telegiornale che era morto corsi in camera con una disperazione addosso che non comprendevo. Scrissi allora la mia prima poesia che ancora conservo. Scusate il personalismo, ma ci tenevo. Ciao Paolo.

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