Scrivere un romanzo in 100 giorni - Lezione 76
Autore: Morgan PalmasVen, 21/08/2009 - 11:59
Quanto andrò spiegando oggi dovrà essere uno degli elementi su cui riflettere con attenzione particolare. Chi scrive tende ad attuare in parola categorie dell’umana specie accettando il più delle volte logiche che risultano grossolane a una successiva analisi approfondita.
Pensate alla femminilità e alla mascolinità. È assai probabile che abbiate introdotto personaggi femminili e maschili attingendo al bagaglio degli stereotipi diffusi nella società.
La donna furba con il maschio, superficiale nei pettegolezzi, desiderosa di sicurezze, lamentosa nelle faccende di casa, cattiva con le altre donne, ecc; il maschio grezzo, superficiale nei sentimenti, arrivista, bugiardo, spaccone, ecc.
Chiaro che se necessitate d’un personaggio dotato di talune caratteristiche che rientrino in quelle categorie, nulla vi priva di utilizzarle. Il rischio, per scendere nel dettaglio, è di sfruttare gli stereotipi a mano sciolta, senza dosare, senza controllare che non cozzino contro il buon senso. E il buon senso è non esagerare con gli stereotipi nel vostro testo.
Attenti, non sto parlando dei cliché della lezione 46, non intendo frasi banali e senza il minimo di originalità. Introdurre una donna quarantenne che ancheggia per attirare l’attenzione dei maschi non è un cliché, ma potrebbe essere uno stereotipo. Benissimo descrivere una situazione simile, orribile invece sfruttare soltanto stereotipi. Dal punto di vista contenutistico apparirebbe minestra già vista mille volte.
Se fate caso, i giornali e le televisioni parlano con il linguaggio stereotipato, perché diretto, senza fasi di ragionamento, immediato ed essenziale nella comunicazione. Il consiglio è di sforzarvi di non replicare tale modo per ricercare uno stile vostro, un tentativo d’esprimere concetti senza abbandonarvi a formule del tutto prevedibili da chi legge.
Qualcuno potrebbe obiettare che taluni sfruttino appunto il linguaggio stereotipato per andare dritti nell’animo del lettore, non concedendo momenti di calma riflessiva, inondandolo di vicende come se fosse di fronte alla televisione. Sì, vero.
Ma se ragionassi così, avrei chiamato la sfida nel seguente modo: “Scrivere un romanzetto insulso in 100 giorni”. Noi abbiamo il desiderio di concederci altri paesaggi, forse.
Pensate alla femminilità e alla mascolinità. È assai probabile che abbiate introdotto personaggi femminili e maschili attingendo al bagaglio degli stereotipi diffusi nella società.
La donna furba con il maschio, superficiale nei pettegolezzi, desiderosa di sicurezze, lamentosa nelle faccende di casa, cattiva con le altre donne, ecc; il maschio grezzo, superficiale nei sentimenti, arrivista, bugiardo, spaccone, ecc.
Chiaro che se necessitate d’un personaggio dotato di talune caratteristiche che rientrino in quelle categorie, nulla vi priva di utilizzarle. Il rischio, per scendere nel dettaglio, è di sfruttare gli stereotipi a mano sciolta, senza dosare, senza controllare che non cozzino contro il buon senso. E il buon senso è non esagerare con gli stereotipi nel vostro testo.
Attenti, non sto parlando dei cliché della lezione 46, non intendo frasi banali e senza il minimo di originalità. Introdurre una donna quarantenne che ancheggia per attirare l’attenzione dei maschi non è un cliché, ma potrebbe essere uno stereotipo. Benissimo descrivere una situazione simile, orribile invece sfruttare soltanto stereotipi. Dal punto di vista contenutistico apparirebbe minestra già vista mille volte.
Se fate caso, i giornali e le televisioni parlano con il linguaggio stereotipato, perché diretto, senza fasi di ragionamento, immediato ed essenziale nella comunicazione. Il consiglio è di sforzarvi di non replicare tale modo per ricercare uno stile vostro, un tentativo d’esprimere concetti senza abbandonarvi a formule del tutto prevedibili da chi legge.
Qualcuno potrebbe obiettare che taluni sfruttino appunto il linguaggio stereotipato per andare dritti nell’animo del lettore, non concedendo momenti di calma riflessiva, inondandolo di vicende come se fosse di fronte alla televisione. Sì, vero.
Ma se ragionassi così, avrei chiamato la sfida nel seguente modo: “Scrivere un romanzetto insulso in 100 giorni”. Noi abbiamo il desiderio di concederci altri paesaggi, forse.
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