Intervista a Caterina Venturini
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Non ricordo un periodo in cui non abbia scritto o pensato di farlo. È stata sempre una grande forma di divertimento e consolazione, che si è approfondita durante l’adolescenza, il mio tempo oscuro. Ricordo bene invece un compito in classe in quarto ginnasio, Cosa vuoi fare da grande?, un tema che da subito giudicammo tutti banalissimo, così senza alcuna introduzione scrissi in tre ore un breve racconto. Staccato di una frase, in conclusione: Ecco cosa voglio fare, scrivere.
Presi 4, ero andata “fuori tema”.
Negli anni, non c’è stato nient’altro che mi abbia veramente appassionato. Volevo solo leggere e scrivere, ma mi rendevo conto che non era bello da dire, o facile da sostenere, non ho avuto mai il coraggio di puntarci tutto. Mi sembrava un lusso imperdonabile.
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Penso alle gabbie di Francis Bacon e al fatto che per lui non c’è tensione in un quadro, se non c’è lotta con l’oggetto. Per me anche la scrittura dovrebbe costruirsi una gabbia formale, entro cui liberare la bestia della lingua.
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Io tutte le mattine devo andare a lavorare, non potrei anche se lo volessi, e comunque non lo voglio. L’ispirazione per me è uno stato d’animo che ti permette di avere lo sguardo più affilato, di trovare una narrazione ovunque, di trovare un senso, e non accade sempre. Quando accade però, bisognerebbe lavorare con una certa continuità per immergersi completamente nel flusso.
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Ultimamente ho bisogno di musica. Prima di mettermi a scrivere, scelgo un CD, elettronica classica o jazz, l’essenziale è che sia senza voce umana (al limite sono ammessi i gridolini di Jarrett…), poi lo lascio girare e ricominciare finché non ho finito. La musica a quel punto diventa una specie di mantra che aiuta la mia concentrazione. Ho scritto interi racconti con un solo CD, sempre lo stesso ogni volta, mentre per il romanzo c’è stata una grande varietà, da Bach ai Nirvana.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Nel mio romanzo, la voce narrante dialoga continuamente con i libri, quasi come fossero persone, direi che ne è invasa. È un mio saluto di addio, in un certo senso, come aver depositato molto di quel che avevo accumulato in tanti anni di studi e letture. È stato come aprire una valigia.
Per quanto riguarda il mio rapporto personale con autori e autrici, ho un attaccamento feticista per alcune figure, ho perfino una foto di Marguerite Duras incollata sul pc, credo sia di buon auspicio. Credo in fondo, che perfino Marinetti, prima di sputare sui classici dovesse necessariamente, anche solo per una comodità del gesto, inchinarsi.
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Ho scelto di abitare a Roma, che era già stata città di studi, perché dopo dieci anni di peregrinazioni varie, mi piaceva l’idea di fermarmi, e poi ho dato ascolto a chi mi diceva che per pubblicare era meglio stare lì, piuttosto che tornare nel mio luogo d’origine. Credo però che ognuno abbia la sua storia; Agota Kristov ha scritto il suo capolavoro da rifugiata in una cittadina svizzera. È diverso il caso in cui si voglia appartenere a una cosiddetta élite culturale. Ma ne esistono ancora? Oggi è la rete a rappresentare il più potente mezzo di aggregazione e diffusione delle idee, anche per gli scrittori.
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
Credo che la letteratura possa dare voce ai desideri più profondi, realizzandoli nella loro ragion d’essere.
La ringrazio e buona scrittura.
Il sito di Caterina Venturini: http://www.letuestellesononane.it/
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