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Frammento Cinque: la barca di San Pietro e la poesia

Scesi rintronato, i pensieri lenti, i movimenti lentissimi, mi sedetti, alzai lo sguardo e vidi quella bottiglia, come ogni anno, immancabilmente. E lì vi dovrebbe essere stata una barca, creata grazie a un uovo, o meglio, un albume d’uovo. Non c’è buon senso o crudo realismo, neppure un avanzamento nel rapportarsi con le leggende, tanto meno con le fantasticherie: mia madre individuò l’albero maestro e le vele. Io, tanto per cambiare, non vidi nulla, se non qualche viscido filo bianco nell’acqua. Se ho davanti un timido anfratto con vicino una piccola pozzanghera, non posso certo immaginare di trovarmi nel mezzo d’una forra.
Eppure alcune leggende popolari resistono. La barca di San Pietro rivelava un tempo notizie vitali per l’agricoltura o prossime gravidanze per la sposa. Che sia anche in questo la natura della poesia?

Nel legarsi al mondo con significati che non dipendono necessariamente dalla realtà, bensì da un calderone di immagini vive, sfuocate, intense, serve, tragiche, mutanti. La poesia non è la realtà; la prima invade le viscere di ognuno di noi e la ragione ci concede di discernere ciò che si ritiene rilevante o meno; la seconda accade fuori dalle nostre viscere, è una scelta dell’io appartenervi o, se si riflette in termini di flusso, farla entrare nei mondi interiori.
La poesia non è la complessità del singolo oggetto che si osserva, ma il rimando, le associazioni, i significati che emergono da quella medesima complessità. E, senza indugio, i rapporti fra loro. Ecco che dalla barca di San Pietro può nascere una canzone pindarica o un carme. Chi è poeta sente le viscere vibrare e trova poi l’abilità di trasformare le sensazioni in versi. I semplici fatti sono più convincenti delle argomentazioni sosteneva Whitman, aveva ragione. Inutile sentenziare sugli eventi, ognuno li giudica e li immagina a seconda degli occhiali che porta. La musica viene prima delle parole, dentro l’anima, la quale è madre del trasbordare immaginifico portato in versi.

Quanta poesia nella barca di San Pietro: la bottiglia, l’acqua, l’albume, la notte, l’attesa, l’epifania, gli auspici, le speranze, amalgamati assieme. Non è spiegare o descrivere, è invece un sentire o un percepire, è più sottile la questione.
E per un orso rustico come me era impossibile capire mia madre. Non è una poetessa, ma ha la poesia dentro. Così qualche giorno fa ho impegnato del tempo ad ascoltare le sue emozioni di fronte all’albero maestro e alle vele. Ho tentato anch’io di percepire, di sentire.
In quale modo è possibile sublimare se stessi alla ricerca dell’aria più tersa dell’altro? Non è forse strappare una parte della nostra anima per rivolgerla verso lidi a noi sconosciuti?
Parrà a qualcuno che la poesia possa infrangere muri di incomunicabilità fra gli umani, ciononostante essa non si presenta all’uscio di chi arde di descrivere, insinuando così nel processo l’io, i ragionamenti, la logica. È davvero un abbandonarsi al flusso. Tutto ciò che è poetico non è di per sé, non esiste in quanto tale, ma è una caratteristica di certe persone, è un amore dell’unità in un attimo, dello spazio e del vuoto in un’immagine, dell’infinito e della vacuità orientale, in onore al monaco Nagarjuna.

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