Scrivere un romanzo in 100 giorni - Lezione 21
Autore: Morgan PalmasVen, 12/06/2009 - 09:30
Avete memorizzato le lezioni di questi ultimi due giorni? Bene, oggi volete creare una situazione descrivendola in modo oggettivo e realistico, quale stile adotterete?
In questo caso dovete lavorare molto sul lato visivo, arricchendo la narrazione con elementi che possano stimolare il senso della vista.
Inoltre, una buona tecnica è fare anche parlare i personaggi, facendo in modo che siano loro a descrivere le scene e a raccontare.
Il ritmo deve essere gestito in modo equilibrato, tendente tuttavia alla velocità; l’accorgimento principale è di non cadere nella lentezza eccessiva (eccetto rari casi realistici che appartengono alla frustrazione, ne parleremo domani).
Non abbandonatevi a riflessioni colme di subordinate (ricordate l’ipotassi?), rallentano il ritmo. Poche riflessioni, dovete descrivere vezzeggiando, ripeto, il senso della vista. La comprensione delle condizioni narrative deve essere diretta, senza perdersi in costrutti di causa effetto, non dovete spiegare le ragioni necessariamente – fermo restando che possono essere considerate se inserite con armonia -, abbiate in testa la descrizione, ciò che si vede.
Non dimenticate mai in questo tipo di situazioni di considerare anche gli altri quattro sensi: il gusto, l’olfatto, il tatto e l’udito. Il mondo ci appare grazie ai cinque sensi, attraverso loro uno scrittore può essere realista.
Lo spazio dentro cui volete tenere la mente del lettore deve essere definito, presentatelo con calma, senza fretta, la situazione deve divenire chiara attraverso tutti gli elementi che avete deciso di includere.
Se il vostro desiderio è di raccontare la paura vissuta da una famiglia affiliata alla camorra, vi presento un semplice esempio di narrazione, alla luce dei consigli sopraccitati.
In questo caso dovete lavorare molto sul lato visivo, arricchendo la narrazione con elementi che possano stimolare il senso della vista.
Inoltre, una buona tecnica è fare anche parlare i personaggi, facendo in modo che siano loro a descrivere le scene e a raccontare.
Il ritmo deve essere gestito in modo equilibrato, tendente tuttavia alla velocità; l’accorgimento principale è di non cadere nella lentezza eccessiva (eccetto rari casi realistici che appartengono alla frustrazione, ne parleremo domani).
Non abbandonatevi a riflessioni colme di subordinate (ricordate l’ipotassi?), rallentano il ritmo. Poche riflessioni, dovete descrivere vezzeggiando, ripeto, il senso della vista. La comprensione delle condizioni narrative deve essere diretta, senza perdersi in costrutti di causa effetto, non dovete spiegare le ragioni necessariamente – fermo restando che possono essere considerate se inserite con armonia -, abbiate in testa la descrizione, ciò che si vede.
Non dimenticate mai in questo tipo di situazioni di considerare anche gli altri quattro sensi: il gusto, l’olfatto, il tatto e l’udito. Il mondo ci appare grazie ai cinque sensi, attraverso loro uno scrittore può essere realista.
Lo spazio dentro cui volete tenere la mente del lettore deve essere definito, presentatelo con calma, senza fretta, la situazione deve divenire chiara attraverso tutti gli elementi che avete deciso di includere.
Se il vostro desiderio è di raccontare la paura vissuta da una famiglia affiliata alla camorra, vi presento un semplice esempio di narrazione, alla luce dei consigli sopraccitati.
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«Non ce la faccio più mamma!».
«Stai calmo Fabio, calmo, la vedi questa faccia?» prendendosela con il palmo della mano al mento. E aggiunse: «Se vogliamo tenerla, compresa la tua, non possiamo parlare, lo sai…».
Erano stati mesi di silenzio dopo l’uccisione del capofamiglia, nonostante la dinamica degli eventi fosse chiara, perfino i nomi dei responsabili erano sulla bocca di tanti. Eppure la consueta omertà, tipica di quel piccolo paese di provincia, aveva vinto per l’ennesima volta.
Il quartiere dove vivevano Fabio e la madre era a dir poco povero, sacchi di immondizia riversati ovunque, il lezzo ributtante, i bimbi di dieci undici anni già piccoli delinquenti sulla strada tutto il giorno, per non parlare dei fratelli poco più grandi: dalla droga alla prostituzione, alle rapine, non v’era un solo argomento criminoso del quale ognuno di loro non potesse raccontare con precisione nomi, luoghi e fatti.
V’era un vezzo fra i camorristi di quella zona, quando si incontravano nel paese, prima di parlare, erano soliti darsi una pacca alle spalle in maniera reciproca, due, tre colpi, come a dire: «Tutto a posto, tutto sotto controllo». E i bimbi e i ragazzini osservavano, imparavano. Fabio così era cresciuto, osservando, imparando, dal padre.
«Quei bastardi devono morire!» disse alla madre.
«Dimmi!» ella esclamò «Vuoi fare la stessa fine di tuo padre? Basta, è ora di finirla, anni di morti, anni di fughe, anni di paura, basta Fabio, basta!».
«Parla piano!» replicò il figlio. E andò verso la finestra per assicurarsi che fosse chiusa.
I balconi di casa non erano aperti da tempo, nessuno doveva sapere chi c’era dentro o vedere, la vergogna, la discrezione, la paura appunto. Silenzio. Dalla casa della famiglia Alfonsi non usciva una parola.
A proposito di camorra e mafie mi sento di consigliarvi tre libri, fra gli altri, la conoscenza è certo una virtù, non l’ignoranza:
1- “Gomorra” di Saviano (servono spiegazioni?).
2- “Io, per fortuna c’ho la camorra” di Sergio Nazzaro (un romanzo sui generis, pregno di drammi quotidiani).
3- “Cosa nostra” di John Dickie (quale legame c’è fra i limoni e la mafia? Scopritelo in questo saggio di un ricercatore inglese che lavora alla University College of London).
Oggi sono prolisso: ascoltate, se volete, questa canzone dedicata tragicamente a Roberto Saviano.
Ultima cosa: se vi piacciono le lezioni e le interviste di Sul Romanzo, linkatemi nei vostri siti o blog, parlatene se vi garba, un po’ di sana pubblicità per “stima” non mi dispiacerebbe.
Arriveranno altre iniziative, renderò ancora più ricco di contenuti il blog nei prossimi mesi, ma come si dice qui in Veneto: “A piumeta a piumeta se pela l’ocheta”, un passo alla volta.
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