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Intervista a Stefania Nardini

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Credo che il desiderio di scrivere scatti per una necessità interiore. Per un bisogno di ritrovarsi o semplicemente di liberare una parte di noi stessi adombrata dall’esteriorità. Io, come tanti altri, da bambina amavo scrivere. Componevo qualche poesia, ma ciò che più mi attraeva era la realtà vista da me. Infatti decisi di fare la giornalista. A diciotto anni iniziai la mia gavetta, imparai moltissimo dai miei maestri di allora, e divenni padrona di un tipo di scrittura che era la comunicazione della vita.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

Dovrei iniziare con una lunga dissertazione su come si fa giornalismo oggi. Sarebbe noioso e ripetitivo. Ma quando io iniziai il mio mestiere le assicuro che la creatività era importante. Creatività non certo intesa come invenzione della notizia, ma del modo in cui usare le parole giuste per rendere l’idea di un fatto. E talvolta bastano le virgolette aperte, una parola, una notazione per rendere l’idea. Il giornalismo che io ho imparato alla mia epoca era un mestiere da gatti. Con le vibrisse sempre in azione. Il che si traduceva, per chi aveva queste doti, in una bella scrittura. Non a caso grandi scrittori sono passati attraverso il giornalismo, penso a Buzzati, mentre invece oggi c’è tutta una élite letteraria di basso profilo, presuntuosa, certa delle sue verità, che per il solo fatto che uno scrittore sia innanzitutto un giornalista lo considera un elemento da serie b. Ecco perché, ma il mio è un dato generazionale, non ho vissuto questa distanza. Se non avessi vissuto un percorso giornalistico serio non avrei affinato alcune doti, ammesso che ne abbia.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.

Questa è un’immagine che si addice a chi ha la fortuna o sfortuna di fare lo scrittore a tempo pieno. Io sono una donna normalissima. Intanto continuo a scrivere come giornalista perché ho convertito la mia esperienza in quello che oggi è il mio interesse: la lettura. Infatti curo una pagina libri per un quotidiano. Ed anche questo è un allenamento che mi fa stare nella realtà, come è un allenamento stare nella realtà andare al supermercato piuttosto che avere le preoccupazioni di madre. Ciò che scrivo viene dalla vita. Da ciò che osservo. Dal grande palcoscenico che è la strada. Non mi impongo nulla. Non lo troverei onesto. Nel caso della scrittura in quanto narrazione è importante credere in una storia, in un personaggio, in un fatto. E si seleziona, si sceglie quando un evento tocca le corde della propria sensibilità al punto da far uscire le parole dall’anima.

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?

Della mia pipa. Sono una delle poche donne che fuma la pipa. E quando scrivo mi fa una compagnia straordinaria. Il problema è far convivere il fumo con la mia gatta, che detesta il tabacco. Lei è nata tra i libri. Infatti è un regalo che mi fece il mio editore.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?

Agli scrittori del passato non posso che dire grazie. E ci vorrebbero due vite per rileggere di nuovo ciò che appartiene alla formazione giovanile. Perché a un certo punto si legge con altri occhi. Una volta rilessi Manzoni. Lo avevo abbandonato, un po’ come tutti, dai tempi del liceo. Scoprii un mondo straordinario, lo stesso mi è capitato con Stendhal, riletto a quarant’anni era un’altra cosa. Comunque devo molto ad autori che in gioventù rispecchiavano la mia indole, come Jack London, per esempio. Anche se devo dire che giovanissima fui travolta dalla saggistica, erano i tempi della politica, quando era essenziale conoscere Marcuse piuttosto che Schopenhauer per comprendere. Noi dovevamo capire il mondo e ci cercavamo gli strumenti…

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

Ho la sensazione che in Italia ci sia molta disgregazione. Vivo in Francia e devo dire che quando rientro mi sembra di stare in un altro mondo. Le città italiane non hanno spazi per la scrittura. Si fanno i festival, le fiere, ma non esitono luoghi. Oggi gli scrittori hanno trovato casa sulla rete Internet e devo dire che con molti io stessa mi ritrovo nel virtuale. Poi ci si incontra ma sempre tra mille difficoltà. In Italia non ci sono soldi per chi scrive, neanche il rimborso spese quando ti chiedono di partecipare a una manifestazione. E non è giusto. Perché poi comandano le piccole mafie che trovano disponibilità in gente disposta a tutto pur di essere visibile, magari pagando per farsi pubblicare un testo.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?

…Scrivere è la cosa che più amo. Non so bene se mi riesce. Ma certamente mi ha migliorata come persona. Mi ha dato la possibilità di ascoltarmi. Anche di guarirmi. Quando ho avuto un cancro dopo l’intervento chirurgico ero dolorante. Rifiutai i soliti calmanti e scrissi un piccolo romanzo. Le sembra poco?

La ringrazio e buona scrittura.

Stefania Nardini, giornalista e scrittrice, é una romana innamorata anche delle due città dove ha vissuto: Napoli e Marsiglia. Vive tra l’Umbria e la Provenza. È autrice di “Roma nascosta” (ed. Newton Compton) e del romanzo “Matrioska”, storia di una cameriera clandestina che insegnava letteratura (ed. Pironti 2001). Con questo libro è stata la prima autrice italiana contemporanea tradotta in Ucraina. Ha fondato con Giulio Mozzi “Vibrisselibri”. Alcuni suoi racconti sono pubblicati su riviste letterarie e sulla rete Internet. Cura la pagina “Scritture & pensieri” per il quotidiano dell’Italia centrale “Corriere Nazionale”.

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