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Intervista a Giorgio Fontana

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Ho iniziato a scrivere "seriamente" verso i diciassette-diciotto anni. Non riesco a ricostruire con precisione l'accaduto, ma non parlerei di caso fortuito. Ero sempre stato un buon lettore, e un ragazzo un po' solitario: ma questa è forse solo la superficie della cosa. Forse bisogna tornare più indietro, a un bambino che amava inventare le storie con suo padre. Sì, probabilmente questa è l'origine del tutto: storie. Sono sempre stato affascinato dalle storie, ed è arrivato banalmente un momento in cui ho deciso di cominciare a scriverle.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

Direi che l'inizio, l'idea, la formazione di una storia, è sempre dettata dall'istinto. Gli embrioni di storie mi sono sempre venuti in mente in momenti e modi casuali: scendendo dal tram, affacciandomi alla finestra, lavandomi i denti. Quello è il momento degli appunti frenetici e della "scossa" iniziale, che può anche non portare a nulla. Una volta che la trama è vagamente definita e i personaggi prendono forma nella testa, inizia la fase della stesura. E qui è per gran parte questione di razionalità - di lucidità, più che altro. Scrivere è una gran fatica, e io sono uno che pone grande attenzione sia alla lingua che alla struttura di un romanzo: affidarsi al solo fiuto istinto in questi casi significa soltanto credere all'ideale del talento assoluto, nel quale io non credo affatto. Ma allo stesso tempo non bisogna dimenticarsi mai della componente istintuale. Negli snodi della storia può risultare fondamentale.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.

Dipende. Se davvero non ho voglia di scrivere, non scrivo. Inoltre, lavorando otto ore al giorno, il tempo per forza si comprime: la verità è che bisogna scrivere sempre quando si sente davvero la necessità di farlo. In quei casi bisogna mettersi seduti e lavorare duramente. E molto spesso anche non in quei casi: la scrittura richiede dura disciplina e tantissimo sacrificio. Non credo molto nell'ispirazione, credo invece nell'artigianato e nella capacità di migliorare passo dopo passo.

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?

Ho scritto un po' ovunque, ma al momento non riuscirei a immaginarmi nella stesura di un libro senza un posto tranquillo e silenzioso, una scrivania, e ovviamente il mio laptop. Per il resto non ho grandi necessità. L'ideale sarebbe avere i libri necessari da consultare al fianco, per la ricerca, e internet disponibile. Ma sono uno scrittore abbastanza flessibile.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?

Diciamo che dopo una fase di ubriacatura di classici, dai sedici ai ventun anni, mi sono dedicato soprattutto alla narrativa contemporanea. Prima i grandi scrittori erano una solo un piacere e una lezione, ora più che altro sono un monito: le lezioni preferisco prenderle da chi è più vicino temporalmente a me. E poi riaprire Kafka, il mio eroe letterario, ogni volta che ritengo di non aver scritto una parola per quanto possibile necessaria - una parola che, nel mio piccolo, possa contribuire in qualche modo a scalfire la superficie delle cose.

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

Per quanto ho potuto vedere Milano e Roma sono ancora due capitali di accentramento degli scrittori. Molti miei colleghi vivono in queste due città. Anche Torino e Bologna hanno delle buone scene, e non dimentichiamo mai l'enorme serbatoio iniziale della provincia (da cui io stesso provengo). Probabilmente non è più il tempo delle avanguardie e dei caffè letterari, ma ancora oggi ci sono dei bei momenti di avvicinamento. Penso solo alla realtà delle riviste letterarie online, o a certi circoli ARCI fortemente impegnati nella diffusione della scrittura, come la Scighera a Milano.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?

E' una domanda molto difficile. Posso offrire una risposta a raggio corto e una ad ampio raggio. La risposta a raggio corto è che la scrittura, come lo studio della Filosofia, mi ha educato ulteriormente all'umiltà, mi ha aiutato a sviluppare una comprensione più acuta delle cose e delle persone, mi ha mostrato il lato più fragile e bello dell'umanità.
Per quanto riguarda la mia vita considerata ad ampio raggio, scrivere non me l'ha peggiorata. Me l'ha completamente fottuta. Ciò nonostante, non potrei dire che tornerei indietro.

La ringrazio e buona scrittura.

Grazie mille a lei.


Giorgio Fontana è nato a Saronno nel 1981. Laureato in Filosofia, ha vissuto nel cupo hinterland varesotto, a Montpellier, a Dublino e in Québec, come studente o svolgendo una serie di lavori improbabili. Condirige il pamphlet letterario Eleanore Rigby, e collabora con V&S; e con la pagina di cultura de Ilsole24ore.com. Molte sue recensioni sono apparse su Bottega di Lettura. Ha pubblicato i romanzi Buoni propositi per l'anno nuovo (Mondadori 2007) e Novalis (Marsilio 2008), e il reportage narrativo Babele 56 (Terre di Mezzo 2008). Al momento vive e lavora a Milano.

Sul web: www.giorgiofontana.com

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