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Intervista a Davide Musso

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Mi piacerebbe rispondere come Giulio Mozzi (ebbene sì, mi sono letto le altre interviste già pubblicate...) e cioè che mi sono accostato per la prima volta alla scrittura a sei anni, iniziando le elementari, ma comprendendo il senso della sua domanda le risponderò invece che ho iniziato a scrivere - diciamo per ragioni lontane dall'obbligo scolastico - a 21 anni, collaborando con un giornale di provincia. Da allora ho proseguito lungo quella strada e col tempo sono riuscito a entrare nella redazione di una rivista (“Altreconomia”) che è diventata la mia prima vera scuola di scrittura, oltre che il lavoro con cui mi sono mantenuto per sette anni. Questa esperienza mi ha permesso di svolgere il praticantato giornalistico e, sostenuto l'esame di Stato, di diventare giornalista professionista. Quanto alla scrittura narrativa, come molti appassionati lettori ho provato già da ragazzino a buttar giù dei raccontini (poco più che incipit, in realtà) senza mai terminare nulla. Intorno ai vent'anni ho scritto racconti “completi” che hanno, per fortuna, preso la via del cestino della carta straccia e di cui non esiste più copia. Quello che considero il mio mio primo “vero” racconto, invece, l'ho iniziato alla fine del 2002 per partecipare a un concorso indetto proprio da Giulio Mozzi per il suo bollettino elettronico “Vibrisse”. In palio, oltre alla pubblicazione sul bollettino, c'era un formaggio. Purtroppo non ho fatto in tempo a terminare il racconto entro la scadenza del concorso... L'ho però finito per partecipare all'edizione 2003 di Subway (http://www.subway-letteratura.org/) vincendo, con altri 11 partecipanti, l'edizione di quell'anno.

Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?

Io ho bisogno di ragionare molto sulle storie che intendo scrivere (ma anche sugli articoli o sulle recensioni per i giornali), che devo prima raccontarmi “nella testa” e solo in un secondo momento riesco a trasferire sulla pagina. Quindi direi: razionalità consapevole, per quanto spesso buona parte della storia sfugga alla pianificazione e si materializzi in corso d'opera.

Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.

Beato Moravia! Io per campare devo lavorare e mi trovo costretto a scrivere - quando ce la faccio, quando non casco dal sonno, quando riesco a vincere la mia innata pigrizia - nelle ore notturne, il che spesso non aiuta.

Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche
curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?

Non posso fare a meno del mio portatile, che trovo più comodo rispetto a un computer “da scrivania” (per quanto, in mancanza del laptop, vada bene anche quello), e non ho particolari aneddoti in proposito. In borsa tengo sempre penna e taccuino, perché diffido della mia memoria e se mi viene in mente qualcosa per una storia cui sto lavorando (o per possibili storie future) conviene che me lo appunti subito.

Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?

Confesso di avere delle enormi lacune sui classici, che, salvo rari casi, ho sempre temuto, soprattutto se pre-Novecento, ma amo alcuni autori del passato, per quanto recente: in particolare Calvino (e Marcovaldo resta uno dei miei libri preferiti - il racconto “Luna e gnac” in particolare), Pavese e Pratolini. Del presente prediligo, invece, autori stranieri come Don DeLillo, Cormac McCarthy, Raymond Carver, Chaim Potok, e potrei continuare a lungo. Tra i buoni propositi per l'estate metto la lettura di Ragazzi di vita di Pasolini.

L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?

La tecnologia - e Internet in particolare - aiutano la circolazione delle idee e un certo tipo di contatti con le persone, ma credo che le relazioni personali diano sempre i risultati migliori. Certo, per chi bazzica il mondo dell'editoria può far la differenza starsene a Milano o Roma, ma non è detto che sia fondamentale.

Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?

Scrivere mi ha, innanzitutto, permesso di trovare un lavoro, almeno finché ho fatto il giornalista a tempo pieno. La scrittura narrativa direi che la vita non me l'ha cambiata, se non provocandomi qualche mal di stomaco, perché mi rendo conto dei miei numerosi limiti.

La ringrazio e buona scrittura.

Grazie a voi.

Davide Musso è nato a Milano nel 1974. Giornalista professionista, oggi lavora come editor. Ha pubblicato, tra l'altro,Voglio fare lo scrittore (Terre di mezzo Editore), libro di interviste a editor e agenti letterari, e la raccolta di racconti Vita di traverso (Gaffi editore). Un suo racconto inedito è presente nell'antologia Giovani cosmetici (Sartorio editore) ed è uno dei 330 autori del Dizionario affettivo della lingua italiana curato da Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta per Fandango libri. Scrive su Satisfiction, Terre di mezzo-street magazine e Rolling Stone. Il suo blog è http://parole.davidemusso.com

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