Giorgio Vasta a Bassano del Grappa
Autore: Morgan PalmasLun, 22/06/2009 - 11:58

Desidero soffermarmi su alcuni punti, senza per questo pretendere di riportare con precisione il pensiero di Vasta, soltanto mie semplici interpretazioni ricordando le sue parole.
Si è parlato del senso della complessità. Vasta sosteneva che per diversi motivi, oggi, molti vorrebbero essere fruitori di letteratura senza fatica, lontani dalle asperità, assorbendo con facili movimenti mentali, quasi immobili, anche a livello linguistico. Buffo osservare come la vita stessa sia pregna di complessità, eppure, dominati oramai da una certa idea di intrattenimento, i più hanno l’urgenza di semplificare, minimizzare, rendere innocue le difficoltà, non accorgendosi che i significati perdono colore, che i legami fra gli elementi perdono forza, conquistando così debolezza, non intensità. E non significa, sosteneva Vasta, avere l’ossessione della complessità, bensì prendere atto che di essa non possiamo farne a meno, anche, ripeto, nel linguaggio. Non tutto si può spiegare con parole e frasi semplici.
Purtroppo molta gente desidera leggere per distrarsi, per dimenticare, per impiegare il tempo morto. E qui penso alle parole di Hermann Hesse, nel suo breve saggio incluso su “Una biblioteca della letteratura universale”: “La lettura non deve affatto distrarci, ma anzi concentrarci; non deve farci dimenticare una vita senza senso e stordirci con una consolazione illusoria, ma, al contrario, deve concorrere a dare alla nostra vita un significato sempre più alto e più pieno”.
Vasta si è soffermato poi sul modo di percepire il mondo da parte dello scrittore, nel senso che gli accadimenti della vita sono traslati quasi subito in frasi. Si vede la pioggia che cade e nella testa dello scrittore l’immagine diventa appunto “la pioggia che cade”, un’urgenza impellente di portare in frase. Sarebbe curioso conoscere l’opinione di altri scrittori a riguardo.
Altro punto che mi pare interessante sottolineare è il lavoro di editing del libro “Il tempo materiale”, anche se il termine editing, spiegava ieri Vasta, non è appropriato. La prima versione del manoscritto era più di seicento pagine, in seguito ad un lavoro di “sottrazione” e “riscrittura” si è giunti alle definitive poco più di trecento pagine. Per quali motivi? Era necessario comprendere che cosa apparteneva davvero o meno alla storia del romanzo. In questo v’è un atto di responsabilità dello scrittore: una combinazione di scelte e rinunce. La maturità di chi scrive permette di accettare quali possano essere le rinunce da fare.
Vasta rifletteva tentando di argomentare con calma, pensando di avere qualcuno di fronte che doveva comprendere, non soltanto ascoltare. E ciò lo rende uno scrittore interessante, almeno dal mio punto di vista.
Voi che cosa pensate della complessità in letteratura? Anche voi siete figli della nostra epoca decadente e ricercate la semplicità badando bene di tenere lontano testi difficili?
Prediligete letture per distrazione o per concentrazione, riprendendo Hesse?
La combinazione fra scelte e rinunce in un romanzo è difficile da ottenere?
Avete letto il romanzo d’esordio di Giorgio Vasta?
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