La povertà nella scrittura
Autore: Morgan PalmasVen, 15/05/2009 - 07:30
La povertà rappresenta un argomento che non cessa mai di suscitare interrogativi, sia che si parli della situazione drammatica di uno stato africano, sia che si tratti la vita quotidiana di una periferia napoletana.
Tale tematica potrebbe divenire dinnanzi all’autore un mondo pregno di ingiustizie, domande, illusioni, gioie temporanee e fatiche. Narrare la povertà significa sopprimere quanto più possibile il proprio giudizio di scrittore, assorbire le difficoltà dell’incertezza, della precarietà, della fatica, ecc. Accade talvolta che la povertà e la vita dello scrittore coincidano o abbiano coinciso in tempi diversi.
«M’avessero dato armeno un pezzetto de pane, manco quello, sti disgraziati,» diceva il Begalone, premendosi la bocca dello stomaco. «Qua semo uno più morto de fame dell’artro,» fece ridendo Alduccio, con la sua bella faccia sformata da un ghigno di ironia rassegnata.
[“Ragazzi di vita” di Pasolini]
Qui si sta pensando alla povertà di natura economica, ma più avanti parleremo anche di quella spirituale o intellettuale. E non è approssimativo sostenere che i livelli di povertà dipendano sia dalla persona sia dal contesto vissuto, oltre che dalla loro relazione: è più povero un giovane ragazzo che arriva dal Ruanda clandestinamente con mille speranze in Italia o un anziano italiano che percepisce 600 euro di pensione e ne paga 400 di affitto ogni mese? Non intendo risolvere la questione con una risposta grossolana, bensì definire quanto possa essere complesso narrare la povertà.
È necessario un respiro profondo: inspirare situazioni ed emozioni, espirare scrittura, mai il contrario. Perché uno scrittore serio ha a cuore il rispetto del lettore e il rispetto concerne altresì il senso della complessità della vita altrui.
“Chi scrive in modo trascurato confessa così, prima di tutto, che egli stesso non attribuisce un gran valore ai suoi pensieri. Infatti, solo dalla convinzione della verità e dell’importanza dei nostri pensieri sgorga l’entusiasmo che si richiede affinché ovunque, con instancabile costanza, si miri all’espressione più chiara, belle ed energica di essi – allo stesso modo che solo per cose sacre o per inestimabili opere d’arte si adoperano recipienti d’oro e d’argento”.
[“Sul mestiere dello scrittore e sullo stile” di Arthur Schopenhauer]
Meno 3 giorni all’inizio della sfida estiva: scrivere un romanzo in 100 giorni.
Tale tematica potrebbe divenire dinnanzi all’autore un mondo pregno di ingiustizie, domande, illusioni, gioie temporanee e fatiche. Narrare la povertà significa sopprimere quanto più possibile il proprio giudizio di scrittore, assorbire le difficoltà dell’incertezza, della precarietà, della fatica, ecc. Accade talvolta che la povertà e la vita dello scrittore coincidano o abbiano coinciso in tempi diversi.
«M’avessero dato armeno un pezzetto de pane, manco quello, sti disgraziati,» diceva il Begalone, premendosi la bocca dello stomaco. «Qua semo uno più morto de fame dell’artro,» fece ridendo Alduccio, con la sua bella faccia sformata da un ghigno di ironia rassegnata.
[“Ragazzi di vita” di Pasolini]
Qui si sta pensando alla povertà di natura economica, ma più avanti parleremo anche di quella spirituale o intellettuale. E non è approssimativo sostenere che i livelli di povertà dipendano sia dalla persona sia dal contesto vissuto, oltre che dalla loro relazione: è più povero un giovane ragazzo che arriva dal Ruanda clandestinamente con mille speranze in Italia o un anziano italiano che percepisce 600 euro di pensione e ne paga 400 di affitto ogni mese? Non intendo risolvere la questione con una risposta grossolana, bensì definire quanto possa essere complesso narrare la povertà.
È necessario un respiro profondo: inspirare situazioni ed emozioni, espirare scrittura, mai il contrario. Perché uno scrittore serio ha a cuore il rispetto del lettore e il rispetto concerne altresì il senso della complessità della vita altrui.
“Chi scrive in modo trascurato confessa così, prima di tutto, che egli stesso non attribuisce un gran valore ai suoi pensieri. Infatti, solo dalla convinzione della verità e dell’importanza dei nostri pensieri sgorga l’entusiasmo che si richiede affinché ovunque, con instancabile costanza, si miri all’espressione più chiara, belle ed energica di essi – allo stesso modo che solo per cose sacre o per inestimabili opere d’arte si adoperano recipienti d’oro e d’argento”.
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