Valentino Zeichen, un uomo libero in un mondo contraddittorio e difficile
Sabato, 1º luglio 2000
«Ho scelto gli amici non per avere dei congiunti, ma
perché li concepisco simili a soggetti di una comunità di persone libere.
Affinché rispettino la libertà di vederci quando ci pare e piace.
E alle donne applico il medesimo criterio.
Ma se un amico pretende speciali diritti di prelievo della mia persona,
io non ci sto.
Preferisco la solitudine».
Il 5 luglio 2016 Valentino Zeichen muore all’età di 78 anni in seguito alle complicanze di un ictus. Il mondo della cultura si era mobilitato per lui istituendo una raccolta fondi: c’era il rischio, al termine del percorso di riabilitazione, che non potesse più rientrare nella sua casa-baracca situata in via Flaminia a Roma, dove viveva da tanto tempo in modo instabile e insicuro. Due anni dopo esatti, il suo storico editore Fazi inizia la pubblicazione di una raccolta di pensieri e versi sotto il titolo di Diario 1999. Dopo questo è arrivato puntuale Diario 2000.
Una pubblicazione che rende omaggio al poeta-profugo istriano ma capitolino di adozione, il quale ha lasciato un vuoto non facile da colmare nel panorama culturale e poetico contemporaneo del nostro Paese. Per prima cosa perché non era uno qualunque: la personalità acuta e ironica e il suo stile di vita e di pensiero lo differenziavano dalla massa, e la citazione indicata in esergo di articolo (e contenuta nel testo) ne costituisce perfetta sintesi. Questo libro si può definire dunque un ulteriore tassello che va a comporre un mosaico; un libro nel quale facciamo un salto indietro nel tempo di quasi vent’anni.
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Giunge infatti il 2000 ed escluso chi era molto piccolo e non può ricordare, il suo arrivo fu atteso e vissuto in maniera diversa e speciale un po’ da tutti. Valentino Zeichen mentre registra con chi ha festeggiato, in realtà si guarda attorno con amarezza, denuncia quel guizzo che manca a certi artisti, una ripetitività e una povertà spirituale che non gli è confacente. Ma non è tutto. Annota che il Presidente della Repubblica di allora, al momento del tradizionale discorso, parla di terzo millennio: peccato che «si è ancora nell’ultimo anno del secondo... non c’è scampo», dice rivolgendosi idealmente a un amico. Uno dei tanti e tante che troviamo menzionate. Persone appartenenti al mondo editoriale (Elido Fazi appunto), letterario (in particolare Franco Cordelli e Valerio Magrelli) e artistico, e, più in generale, quella mondanità barocca rappresentata nel 2013 da Paolo Sorrentino, frequentata e osservata da Zeichen con una lucidità mentale fuori dal comune. Può essere attraverso un aneddoto, uno sberleffo, una critica. Ma sempre essenziale, asciutto, anti-narrativo. I fronzoli non gli appartengono.
Martedì 7 marzo
«Un’amica di mezza età m’invita:
vuoi venire a una
festa mascherata?
Che bisogno c’è di pararsi?
Non indosso già la maschera del tempo?»
A volte invece è sufficiente una sola riga ma in quella riga c’è comunque sempre tanta vita vissuta: il film visto, i pranzi o le cene a cui veniva spesso invitato, oppure ancora la celebrazione dell’arte culinaria, alla quale amava dedicare del tempo. Gli piaceva cucinare e poi commentava, con il suo proverbiale piglio, quanto cucinato per gli altri.
Nella seconda parte di Diario 2000 il registro è poetico: vi è infatti contenuta la raccolta Ogni cosa a ogni cosa ho detto addio – titolo dalla bellezza struggente – pubblicata proprio in quell’anno. Versi che con immagini non liriche e un po’ scanzonate esprimono l’eleganza marmorea e scultorea ma anche le strade, gli obelischi o altri luoghi della Capitale. Città dalle tante patrie e dalle mille leggende che lo accolse, come detto, dopo essere riparato dalla nativa Fiume nel periodo tragico e immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale.
Quella dedicata a Piazza del Popolo tra l’altro è significativa in quanto piazza più vicina alla sua particolare dimora creando una sorta di incontro dal sapore beffardo tra precarietà e salotto borghese:
«Molte generazioni
hanno creduto che
Piazza del Popolo
fosse sinonimo di folla,
mentre il nome deriva
da popolus: pioppo.
Lì dov’era piantato
l’incerto toponimo si erge
l’obelisco granitico
del Faraone Ramses II,
l’architetto Valadier
come un cuoco estroso
l’ha guarnito ai lati
con quattro vaschette
sormontate da leoni
che invece di ruggire
spruzzano rinfrescanti
ventagli d’acqua
che freddano doppiamente
secondo lo stile Neoclassico».
La scrittura è sacrificio, dedizione, passione, e Zeichen viveva (anche se sarebbe meglio dire sopravviveva) da e per essa.
Non scrisse solo poesie: con il suo unico romanzo, La sumera, concorse al Premio Strega nel 2016 (come già ricordato, l’anno in cui morì) e fu scartato dalla selezione finale con non poche polemiche.
Una scrittura con la quale si è sempre distinto dall’ordinario facendosi portavoce di una ribellione e di un pessimismo mai pesanti perché temperati da intelligenza e vivacità intellettuale. In questo risiede la sua cifra letteraria e stilistica.
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Valentino Zeichen è stato un uomo libero in un mondo contraddittorio e difficile, e Diario 2000 costituisce per i lettori essenza del suo lascito verbale. «Mi pongo la seguente domanda: ma posso io, dopo sette o otto libri pubblicati, considerarmi ancora un dilettante? Un disinteressato attore che interpreta il ruolo di autore in questa commedia della letteratura?»
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